martedì 22 settembre 2009

LA SICILIA CHE NN AMA I DISABILI

Probabilmente la prima immagine che ci viene in mente è quella di una persona in carrozzina, o di un non vedente. Questa parola è, infatti, associata a un modello medico: una menomazione cognitiva, motoria o sensoriale, rende una persona “non abile” in qualcosa (camminare, vedere, sentire ecc.).
L’interpretazione della disabilità come mero handicap, nel migliore dei casi innesca comportamenti narcisistici di aiuto. Nel peggiore genera indifferenza o ostilità. Ma in tutti i casi tiene ben separate le persone. Rassicurandone alcune e, quasi sempre, emarginandone altre.
Ma come si è evoluto nel tempo il meme “disabilità”?
Alla fine dell’ottocento l’Organizzazione Mondiale della Sanità classificava le cause di morte.
Dopo la seconda guerra mondiale nelle classificazioni la disabilità era associata alle malattie.
Negli anni ottanta del novecento diventa una conseguenza delle malattie.
Dal 2001 in avanti, si comincia a parlare di funzionamento umano, in altre parole della qualità della vita.
Nella concezione predominante, che ancora influenza il nostro modo di pensare alla disabilità, una malattia o un disturbo può generare una menomazione di qualche natura (psicologica, fisiologica, anatomica) e la disabilità è la perdita o la limitazione della capacità di compiere un’attività, causata dalla menomazione. L’handicap è la condizione finale di svantaggio sociale causata dalla disabilità.
Nel testo della Legge 104/92 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) si legge:
Art. 3: E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
Notate come questa definizione di persona handicappata sia costruita solo utilizzando termini negativi (minorazione, difficoltà, svantaggio, emarginazione).
La classificazione delle disabilità come conseguenza delle malattie (ICIDH), nel cui ambito culturale si colloca la legge 104, è, infatti, attaccabile sotto molti punti di vista:
È basata esclusivamente sul modello medico di disabilità.
Prevede una causalità lineare da menomazione a handicap.
La descrizione degli handicap è insufficiente.
La dimensione ambientale è completamente assente.
Le situazioni sono descritte con termini negativi.
La moderna concezione della disabilità è il prodotto di un cambiamento di paradigma: al modello medico si è sostituito un modello sociale.
Nel modello sociale quello che prima era un problema personale diventa un problema della collettività. Alla cura medica e al trattamento individuale, si affiancano la necessità di integrazione e, conseguentemente, l’azione sociale e politica. La modificazione dell’ambiente diventa importante quanto l’intervento sulla persona. Non ci si prende più cura del disabile in un’ottica assistenziale, ma si garantisce un diritto: il diritto alla qualità della vita.
Il nuovo modello (ICF) propone un continuum tra salute e disabilità ed è, quindi, un modello universale e non limitato ad alcune minoranze. In esso sono integrati fattori biologici, psicologici e sociali, e la qualità della vita è il risultato delle interazioni multiple tra le persone, la loro salute e il loro ambiente.
Così, per esempio, una persona disabile ma con una forte rete sociale di supporto e un ambiente favorevole, potrebbe avere una migliore qualità della vita (un miglior “funzionamento”) rispetto a una persona normodotata che presenti caratteristiche opposte. Il confine netto tra disabilità e “normalità” con questo modello crolla miseramente.
La Legge Stanca si colloca proprio nell’ottica dell’azione sociale e politica conseguente al cambio di paradigma. Insieme alla recente e ben più estesa Convenzione ONU sui diritti dei disabili (2007).
Nello spirito della legge 4/2004, l’accesso alle informazioni e agli strumenti informatici è un diritto di tutti i cittadini e, in conseguenza di ciò, almeno le pubbliche amministrazioni devono produrre contenuti accessibili a tutti. Non si tratta di filantropia o beneficenza, o di etica: si tratta della sacrosanta applicazione di un diritto.
L’Art. 9 della Convenzione ONU, al punto 2, comma g dice esplicitamente che:
2. States Parties shall also take appropriate measures:g) To promote access for persons with disabilities to new information and communications technologies and systems, including the Internet;
Questo va nella direzione che Tim Berners-Lee (l’inventore del Web) indicava quando affermava che la potenza del Web è la sua universalità e l’accesso a chiunque indipendentemente dalla disabilità ne è un aspetto essenziale. Infatti, il W3C (il consorzio internazionale di aziende e associazioni che crea i linguaggi standard del Web) da un decennio pubblica linee guida sull’accessibilità del Web che sono, di fatto, la base di tutte le indicazioni tecniche presenti nelle legislazioni nazionali sull’accessibilità (compresa ovviamente la Legge Stanca).
Ma quanti sono i disabili?
Le statistiche sul numero di persone disabili presenti nel nostro paese non ci possono aiutare a rispondere a questa domanda. Queste stime dicono che i disabili in Italia sono circa il 5% della popolazione. Ma il criterio per determinare la persona con disabilità è basato sul vecchio modello medico. Un disabile, secondo i criteri statistici, è individuato dalla totale mancanza di autonomia per almeno una funzione essenziale della vita quotidiana.
Provate invece a immaginare di quanto aumenterebbero queste stime se fosse applicato il modello del funzionamento umano nella definizione dei soggetti. Come disse Matilde Leonardi (editor del progetto “ICF in Italia”): “Qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità”.
Pensate agli anziani, alle disabilità temporanee, alle persone con lievi problemi di vista, a chi soffre di cecità ai colori, a chi è depresso, a chi è solo, a chi è meno colto, a chi è meno intelligente ecc.
L’accessibilità è un diritto di tutti, proprio tutti. Sarebbe il caso di rifletterci. Specialmente ora che l’Italia sta dimenticando di tutelare questi soggetti.
Andiamo ad approfondire il tema attraverso dei dati concreti:
1. I DISABILI IN SICILIA

I dati più recenti (fonte Istat) dicono che in Sicilia i disabili sono circa 110 mila, con un’età compresa tra i 6 e i 64 anni. Tra loro, 50 mila circa vivono in casa, mentre 45 mila presentano handicap funzionali in parte gravi, che ne limitano l’autonomia nella vita quotidiana.
I disabili in Italia sono 2 milioni 824 mila, cioè almeno il 5 per cento della popolazione, di cui 960 mila uomini e 1 milione 864 mila. Di questi, circa 165 mila e 500 non vivono in famiglia, ma in presidi socio-assistenziali. Tra loro 141 mila circa sono persone anziane non autosufficienti, il 77 per cento delle quali donne.
Gli ultimi dati Istat (2001) dimostrano anche che le strutture pubbliche e private di assistenza ai disabili sono insufficienti rispetto al fabbisogno e alle esigenze: in Sicilia sono 199 le prime, 18 le seconde. E’ una percentuale pari al 5 per cento delle strutture sul territorio (sono infatti 3825 le strutture pubbliche in Italia per l’assistenza ai disabili). Queste strutture, sia in Sicilia che in Italia, si occupano principalmente di assistenza psichiatrica, con percentuali del 3,6 per cento nell’Isola, contro il 4,1 per cento della media nazionale. Le cose non vanno meglio nel settore privato, visto che le strutture accreditate per assistere i disabili sono solo una ventina, pari allo 0,5 per cento, su un totale nazionale di 2377 tra cliniche e centri. Tra queste, ci sono i centri di riabilitazione. I centri di riabilitazione agiscono col supporto di professionisti per la cura del disabile, non solo da un punto di vista fisico o neurologico ma offrono servizi per la riabilitazione e il reinserimento anche e soprattutto sociale della persona affetta da disabilità neuropsicomotoria. E’ anche questo, forse, uno dei motivi per cui gli invalidi hanno maggiore difficoltà nell’inserimento lavorativo in Sicilia: solo il 39,5 per cento infatti viene assunto regolarmente nel corso della vita, contro una media nazionale che ammonta al 73,10 per cento, il 33 per cento in più.
Ci sono zone del territorio siciliano, in particolare Agrigento e la sua provincia ma anche Enna e Ragusa, in cui i centri di riabilitazione sono presenti in numero insufficiente rispetto alla popolazione.

2. NUMERO DI POSTI IN CONVENZIONE CONCESSI DALLA REGIONE SICILIA AI CENTRI DI RIABILITAZIONE PER DISABILI, SUDDIVISI PER PROVINCE

AGRIGENTO
381
CALTANISSETTA
570
CATANIA
3449
ENNA
316
MESSINA
1281
PALERMO
956
RAGUSA
282
SIRACUSA
801
TRAPANI
1053

In Sicilia i centri di riabilitazione convenzionati con la Regione (ai quali fa riferimento la tabella) sono regolati dall’articolo 26 della legge 833 del 1978. In testa, per numero di centri di riabilitazione, c’è Catania e la sua provincia mentre continuano a rimanere fanalini di coda Agrigento, Enna e Ragusa.
L’esperienza di chi opera da decenni nel settore insegna che in molte province della Sicilia continua, purtroppo, a verificarsi un fenomeno che era diffuso a Catania mezzo secolo fa, quando le famiglie dei disabili erano costrette a viaggiare pur di garantire al proprio parente cure adeguate e in grado di migliorarne la qualità della vita.

3. PERSONE CON DISABILITA’ CHE VIVONO IN FAMIGLIA, SUDDIVISE PER REGIONE


REGIONE
VALORI ASSOLUTI
IN MIGLIAIA
TASSO PER 100 PERSONE
%DONNE
%UOMINI
Piemonte
194
4,5
67,8
32,2
Valle D’Aosta
4
3,9
65,9
34,1
Lombardia
342
4,2
65,5
34,5
Prov. Bolzano
13
3,8
51,3
48,7
Prov. Trento
17
3,6
73,7
26,3
Veneto
168
4,1
65
35
Fruli Venezia Giulia
47
3,6
69,9
30,1
Liguria
73
3,6
67,7
32,3
Emilia Romagna
191
4,2
64,6
35,4
Toscana
184
4,6
70,1
29,9
Umbria
40
4,1
70,3
29,7
Marche
77
4,8
64,3
35,7
Lazio
205
4,4
61,9
38,1
Abruzzo
65
5
60,3
39,7
Molise
17
4,9
70,1
29,9
Campania
244
5,6
66,3
33,7
Puglia
205
6,2
67,3
32,7
Basilicata
31
5,6
63,6
36,4
Calabria
120
6,8
65
35
Sicilia
297
6,9
66,8
33,2
Sardegna
81
6
60,7
39,3
ITALIA
2.615
4,8
65,9
34,1

Fonte Istat, indagine sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari

I numeri Istat dimostrano che la famiglia per i disabili di qualunque età è un’istituzione di fondamentale importanza e che, se non ci fosse, la loro condizione di vita peggiorerebbe sensibilmente. La maggiore frequenza dei disabili in famiglia si registra proprio in Sicilia - 6,9 per cento - e in Calabria - 6,8 per cento - mentre i tassi più bassi - 3,6 per cento - si osservano in Liguria, Friuli e Trento.
In generale si osserva un gradiente nord-sud nella percentuale di disabili in famiglia dovuto, in parte, ad un rischio di disabilità effettivamente maggiore nelle regioni del sud. Tuttavia non va trascurato il possibile effetto combinato di due fattori, uno di natura culturale e uno di natura strutturale. Il fattore culturale potrebbe essere rappresentato dalla maggiore propensione dei nuclei familiari residenti nel Meridione a tenere in famiglia le persone con disabilità. Il fattore strutturale è costituito dalla carenza dell’offerta di strutture residenziali dedicate, che favorirebbe il divario osservato rendendo inevitabile la permanenza in famiglia della persona disabile. A parziale sostegno dell’esistenza di un effetto struttura residenziale, c’è la constatazione che nelle regioni del Nord è più alta la frequenza di persone con disabilità istituzionalizzate; a tale evidenza si unisce la maggiore presenza di strutture residenziali.

3.1 PERSONE DISABILI CHE VIVONO IN FAMIGLIA, SUDDIVISE PER CLASSI DI ETA’


REGIONE
TASSO PER 100 PERSONE 6-64 ANNI
TASSO
PER 100 PERSONE
+ DI 65 ANNI
TASSO PER 100 PERSONE
+ DI 75 ANNI
Piemonte
1,22
17,97
31,45
Valle D'aosta
1,22
17,97
31,45
Lombardia
1,34
16,97
27,42
Prov Bolzano
1,06
15,04
25,29
Prov Trento
1,06
15,04
25,29
Veneto
1,22
16,21
26,77
Fruli Venezia Giulia
0,78
15,4
26,79
Liguria
0,97
15,04
28,7
Emilia Romagna
1,32
17,01
29,06
Toscana
1,38
18,52
33,48
Umbria
0,88
18,57
33,93
Marche
1,52
19,27
33,99
Lazio
1,66
16,54
30,53
Abruzzo
1,48
20,15
35,47
Molise
1,48
20,15
35,47
Campania
1,93
21,72
36,08
Puglia
1,97
23,73
39,81
Basilicata
1,4
23,81
40,26
Calabria
2,22
26,54
40,74
Sicilia
1,97
27,84
48,12
Sardegna
1,89
23,64
38,43
ITALIA
1,52
19,28
32,97

Fonte Istat, indagine sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari

4.1 I PROFESSIONISTI DELLA RIABILITAZIONE: CARENZE E PARADOSSI

In Sicilia i centri di riabilitazione si avvalgono di professionisti specializzati in molteplici discipline, per garantire il miglioramento complessivo della condizione fisica, neurologica e psicologica del diversamente abile. Ma nella Regione non viene garantito l’accesso alla formazione professionale di varie figure: Logopedisti, Chinesiterapisti e Neuroriabilitatori continuano ad essere centellinati, perché le Università organizzano corsi di formazione poco accessibili.
Basta analizzare qualche dato. I corsi professionali per i Logopedisti in Sicilia vengono garantiti solo dall’Università di Catania e dall’Ateneo di Palermo. Ogni anno le due Università formano 30 Logopedisti durante i corsi professionali (lauree triennali da 15 posti ad Ateneo) mentre il fabbisogno dei centri di riabilitazione di tutta l’Isola è stimato intorno ai 300 Logoterapisti per anno.
Gli Psicomotricisti (specialisti degli interventi riabilitativi per ristabilire il corretto schema corporeo dell’assistito) possono rivolgersi all’Ente pubblico solo a Messina, dove vengono creati corsi annuali da 20 posti. Non esistono, invece, scuole pubbliche per la formazione degli Psicomotricisti a Catania né a Palermo, ma diverse scuole private.
Per quanto riguarda i Chinesiterapisti, specializzati nella riabilitazione neurologica degli assistiti, ad oggi in Sicilia non esiste nemmeno un corso di formazione universitaria per la loro preparazione. Le Università continuano a prediligere la formazione dei terapisti per la riabilitazione ortopedica (ne vengono formati 60 l’anno negli Atenei di Catania, Palermo e Messina con minilauree triennali) con il risultato, evidente agli occhi degli operatori del settore, sono gli stessi centri di riabilitazione a formare “sul campo” i neuroriabilitatori, impiegando tempo per renderli professionali, oltre che risorse economiche e investimenti finanziari dei quali la Regione non ha mai tenuto conto.
La scarsa accessibilità ai corsi di formazione professionale per i giovani siciliani produce il paradosso, in una regione in cui il lavoro qualificato resta una chimera, per cui i centri di riabilitazione ricorrono molto spesso a lavoratori (Infermieri, Logopedisti e Terapisti in genere) provenienti dal resto d’Europa: rumeni e bulgari soprattutto.

5. QUELLO CHE OCCORRE FARE

Richiamare l’attenzione delle istituzioni, in particolare della Regione, per una migliore pianificazione dell’assistenza in Sicilia, evitando così che ci siano ancora vaste aree del territorio completamente prive di Centri di riabilitazione in grado di soddisfare le esigenze della popolazione. C’è bisogno quindi di un impegno istituzionale più concreto, garantendo una spesa sanitaria riservata ai disabili più appropriata ai bisogni e direi che c’è bisogno anche uno sviluppo in merito alle infrastrutture che garantiscono una vita migliore ai disabili.
Coinvolgere maggiormente i giovani siciliani che intendono laurearsi nelle discipline sociali e parasanitarie, dando loro possibilità occupazionali più concrete. L’eccesso di burocrazia in Sicilia ha prodotto un meccanismo contorto, che ha lasciato alle Università l’ultima decisiva parola nella scelta dei corsi professionali per la formazione di Logopedisti, Terapisti e Infermieri e Assistenti Sociali: figure professionali necessarie per il percorso di riabilitazione e dell’aiuto dei disabili. Il risultato di questa gestione è che molti ragazzi siciliani che vorrebbero intraprendere questa carriera sono bloccati da corsi professionali con un numero eccessivamente ridotto di posti e dall’assenza di un programma efficace delle Politiche Sociali. Di contro, le strutture riabilitative e non, sono costrette a rivolgersi a lavoratori del resto d’Europa, non meno capaci certamente, ma occorre in una regione come la Sicilia dare lavoro ai giovani di Sicilia, per far sì che questa terra torni ad alzare la testa e soprattutto occorre che in questa Regione si inizi a sviluppare le politche Sociali che sono del tutto inesistenti.

Questo, vuol dire anche garantire ai disabili l’appropriatezza delle cure: assicurando loro professionisti adatti ai bisogni riabilitativi, riconoscendo agli Psicomotricisti il piano di studi intrapreso, ampliando gli interventi riabilitativi per i diversamente abili in modo da utilizzare le professionalità dei laureati in Scienze motorie. Inoltre, occorre garantire loro la tutela e i servizi necessari per una vita dignitosa e migliore.

Risolvere il problema del “Dopo di noi”. Le evidenze mostrano che un numero elevato di persone disabili rimangono in famiglia nelle varie fasi della vita. L’assillo maggiormente sentito dai genitori dei ragazzi disabili, di contro, è l’impossibilità di non avere alcuna certezza su quale sarà la sorte del proprio figlio dopo la loro morte. Questo problema deve essere presto risolto, con la realizzazione di una struttura creata unicamente per assicurare ai genitori che, quando loro non ci saranno più, il proprio figlio sarà accudito in una nuova, grande famiglia.

Il Segretario Dei Giovani Democratici di Ragusa
Valentina Spata

Nessun commento: