giovedì 27 agosto 2009

INFRASTRUTTURE, LAVORO ED IMPATTO AMBIENTALE.

1 FESTA GIOVANI DEMOCRATICI SICILIA 1-2-3- SETTEMBRE 2009 - CATANIA
INFRASTRUTTURE, LAVORO ED IMPATTO AMBIENTALE.

PREMESSA
Perché l'Italia ha meno infrastrutture degli altri Paesi europei? E perché il Sud ne ha ancora meno? Questa doppia carenza non dipende dall'ammontare della spesa complessiva né dalla sua distribuzione sul territorio, dipende invece dall'incapacità della pubblica amministrazione di tradurre quella spesa in opere pubbliche adeguate, per costi, tempi di realizzazione e bisogni del Paese.

Nel corso degli anni, infatti, il tema delle “infrastrutture” è diventato una questione importante e cruciale per l’economia e lo sviluppo della nostra amata isola Siciliana.

Occorre, quindi, iniziare a lavorare pensando allo sviluppo delle infrastrutture nel suo complesso: dal sistema dei trasporti, alla realizzazione di opere pubbliche, ai fondi FAS, al sistema energetico fino ad arrivare al sistema delle telecomunicazioni.

IL MANCATO POTENZIAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE IN SICILIA

Iniziamo dallo sfatare un luogo comune, secondo il quale il primo sforzo serio per dotare di infrastrutture il meridione si sarebbe avuto a partire dagli anni '50 con l'"intervento straordinario". Così non è stato e non è ancora oggi. Le risorse dello Stato impiegate nel Mezzogiorno quasi sempre non sono state ben utilizzate per la realizzazione e lo sviluppo delle strutture dedicate al meridione.

Per gli ultimi 50 anni i dati parlano particolarmente chiaro: sino alla metà degli anni '80, la spesa complessiva per opere pubbliche nel Mezzogiorno raramente è inferiore al 40% del totale. Solo in seguito, e soprattutto negli anni '90, la distribuzione degli investimenti penalizza il sud e le isole.
Lo sforzo protratto e ingente per dotare di infrastrutture il Mezzogiorno non ha dato i risultati desiderati. Infatti, se dall'analisi dell'impegno finanziario si passa ad un inventario di quel che effettivamente è stato costruito, i chilometri di strade, le ferrovie, eccetera, si conferma l'opinione corrente: nel Mezzogiorno vi sono meno infrastrutture che altrove. Una quantificazione del rapporto che vi è tra quanto è stato speso e quel che si è realizzato nelle diverse parti d'Italia è eloquente: i comportamenti meno virtuosi si hanno al sud, particolarmente in Sicilia e le differenze osservate rispetto al resto del Paese sono notevoli.
Un esempio: se si considerano le infrastrutture effettivamente presenti, la Sicilia nel 1997 disponeva di una dotazione pari al 66% rispetto alla media nazionale. Se si considera quanto è stato speso nel tempo, l'ammontare delle infrastrutture in Sicilia avrebbe dovuto essere pari al 114% della media nazionale.

Torniamo al dibattito di oggi. Non si può svincolare un ragionamento sulle opere e sulle risorse necessarie da una considerazione approfondita sul modo in cui l'amministrazione riesce a gestire le realizzazioni. Per esempio, è difficile prestare fede alle previsioni di spesa per la costruzione del ponte sullo Stretto, che interessa le regioni che storicamente si sono dimostrate meno capaci nel realizzare le opere pubbliche. Una stima seria dei costi dovrebbe contemplare, oltre alle alternative tecnologiche, degli scenari "amministrativi", per descrivere come il costo previsto si modifichi a seconda della capacità delle amministrazioni, per esempio nel gestire le inevitabili variazioni che si renderanno necessarie per un'opera così complessa.


Il nuovo quadro disegnato dal Governo Berlusconi ha un'impostazione che va oltre all'attenzione per gli aspetti puramente finanziari del problema, attraverso la formazione di Patrimonio SPA e di Infrastrutture SPA, non aggiunge nulla, anzi, qualcosa toglie, al cammino difficile per realizzare un'amministrazione più capace. L'inadeguatezza dell'amministrazione è aggirata attraverso la figura del general contractor, unica impresa che si occuperà della progettazione, del finanziamento e dell'esecuzione di una grande opera. Ma il "contraente generale" non vivrà nel vuoto, e il suo referente sarà l'amministrazione di sempre. Inoltre, le imprese in grado di svolgere il ruolo di contraente generale per le grandi opere saranno poco numerose, e subiranno un impulso irresistibile alla collusione, che attenua la concorrenza e fa lievitare i prezzi.

A ben vedere, la riforma attuale appare come un'ulteriore espressione di una sorta di ideologia corrente, secondo la quale i problemi della nostra amministrazione pubblica sono risolvibili al suo esterno, portando fuori delle responsabilità e introducendo nuove figure, possibilmente con nomi in lingua inglese. Nei fatti, quel che si porta fuori, da dentro deve comunque essere controllato e indirizzato: si tratta di un'opera ardua, perché lo stesso processo di "riforma" spesso si accompagna a una demotivazione e a un impoverimento delle competenze tecniche delle amministrazioni.
Nel campo delle infrastrutture, così come negli altri aspetti della vita nazionale, il problema del cambiamento nell'amministrazione pubblica non presenta scorciatoie utilmente percorribili: ecco un piccolo "mantra" che gli italiani farebbero bene a memorizzare.

LAVORO E SPESA PUBBLICA PER IL SUD : RAPPORTO SVIMEZ

Il governo Berlusconi sul Mezzogiorno predica bene ma razzola male: Secondo i dati dell'ultimo Rapporto Svimez, infatti, la spesa pubblica per il Sud è ancora lontana dalla quota minima, pari a circa il 38,5% (si tratta di una percentuale espressa come media tra il peso del Sud in termini di popolazione eil suo peso in termini di superficie), necessaria per far fronte alle esigenze normali delle masse popolari dell'area del Mezzogiorno, sia dall'obiettivo sottostimato del 30% che è indicato nei documenti governativi.Anzi la quota di spesa pubblica ordinaria è diminuita sia al Nord che al Sud, ma con intensità maggiore nell'area meridionale, dove si è localizzato nel 2008 solo il 22,3% della spesa complessiva.Tali numeri dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che al Sud la spesa dello Stato è troppo bassa per far fronte anche alle esigenze normali del funzionamento accettabile dei servizi pubblici di ogni genere, dalle scuole, agliospedali, ai trasporti. Si può immaginare allora perché tra cifre diinvestimento pubblico così sottostimate e gestione clientelare e mafiosa dei pochi soldi stanziati le strutture pubbliche, i trasporti, le scuole nel Mezzogiorno siano da Terzo mondo.Sulle carenze infrastrutturali, componente importante dell'arretratezza economica del Mezzogiorno, lo Svimez insiste molto. Se si pone a 100 il valore di infrastrutturazione del resto d'Italia il Sud risulta molto indietro. Per le ferrovie il Mezzogiorno sta al 72,3%, nelle due Isole che hanno una carenza secolare su questo fronte, il tasso scende al 40,9%. Le ferrovie risultano, oltre che quantitativamente insufficienti, molto datate ed inadeguate alle necessità attuali.Inadeguate anche le linee di trasmissione elettrica, al 74% del valore nazionale, e di distribuzione del gas al 44,6%.Di fronte ad una situazione del genere, diciamo noi Giovani Democratici Siciliani, laddove è necessario il miglioramento qualitativo e quantitativo delleinfrastrutture del Mezzogiorno si può comprendere come il progetto del Ponte sullo Stretto risulti, oltre che dannoso per l'ecosistema e assolutamente improponibile, anche grottesco. Che senso ha, oltre a quello di regalare fondipubblici alla mafia, un'opera del genere in un contesto dovemancano le infrastrutture essenziali?
OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE AL SUD SECONDO I DATI SVIMEZ
Un dato apparentemente positivo, invece, quello della "diminuzione" della disoccupazione, che spesso viene citato dai governi nazionale e regionali come indicatore di un miglioramento delle condizioni del Sud, si ribalta in negativo quando si va ad analizzare più attentamente la realtà.Infatti, se il tasso di disoccupazione scende dal 19% del 2007 al 12,3% nel 2009, lo stesso Svimez avverte che la discesa non significa automaticamente aumento dell'occupazione. L'occupazione nell'intero Sud risulta cresciuta appena dello 0,7%, portando il tasso di occupati in età da lavoro al46,6%, ovvero meno della metà della popolazione in età da lavoro nel Sud. Va ancora peggio alle masse femminili: solo nel 31,2% del totale delle donne in età da lavoro ha un'occupazione e spesso si tratta di lavoro supersfruttato.È ovvio a questo punto che il principale fattore del calo della disoccupazione è che una quota consistente di lavoratrici e lavoratori ha smesso di cercareun'occupazione. In pratica una gran massa di disoccupati meridionali ha smesso di iscriversi nelle liste di disoccupazione o si è cancellata da esse e lo Stato non li conta più come disoccupati. In totale la "crescita" dell'occupazione è irrisoria a fronte della reale fame di lavoro del Sud. Appena 105.000 unità di nuovi occupati. Quello che si nota di estremamente preoccupante è che i nuovi occupati sono soprattutto lavoratori cosiddetti "atipici" per laquantità di 75.000 unità. Ovvero per oltre il 71% dell'intera cifra si tratta di lavoratori a termine, stagionali, part-time o con contratti "flessibili" di vario tipo.Notiamo poi che essi si concentrano in settori non produttivi come i servizi, dove aumentano del 2,1% i "posti di lavoro", oppure in settori produttivi come l'agricoltura, +4,5%, che forniscono, per lo più, lavoro di tipo stagionale e che sono, purtroppo, in crisi, come si evince dal rapporto Svimez.Mentre si registra un lieve aumento di occupati, alle condizioni che abbiamo spiegato, in un altro settore produttivo come quello dell'industria si registra un calo dello 0,7% di operai nel Mezzogiorno. Basti considerare per comprendere le motivazioni di questo calo la devastante crisi dell'industria siciliana, pilotata dai governi nazionali e regionali, che ha portato via migliaia di postidi lavoro a tempo indeterminato e sindacalmente tutelati in importanti settori produttivi come la metalmeccanica, la siderurgia, i petrolchimici dislocati in varie province della regione.
Il rapporto Svimez calcola anche la quantità del lavoro nero nel Mezzogiorno che si attesta intorno al 1.391.000 unità, pari ad un quinto di tutti i lavoratori del Mezzogiorno, con un aumento nel solo 2008 di 43.000 unità.Lo Svimez ci indica anche che ancora una volta il Mezzogiorno è in mano alla criminalità organizzata.I numeri dello Svimez sono molto importanti, ma da soli non danno il livello del sempre maggiore radicamento della criminalità organizzata nel Mezzogiorno e dell'impatto devastante che la crescita delle mafie ha sulla vita delle masse popolari. È certo, tuttavia, che la mafia non può che essere stata favorita da una serie di provvedimenti da parte dei politicanti borghesi a livellonazionale e locale, in testa le privatizzazioni. La ripresa dell'emigrazione Industria al palo e agricoltura in crisi, flessibilità selvaggia dei rapporti di lavoro, assenza di servizi adeguati, presenza asfissiante della criminalità organizzata, mancanza di prospettive per il futuro. Sembra di parlare del Mezzogiorno del dopoguerra ed è più o meno a quei livelli di arretratezza che lo Stato ha riportato il nostro Sud. Ed è da questi livelli di arretratezza economica e sociale che è ripreso il dramma dell'emigrazione con tassi che ricordano il grande esodo degli anni '60. I giovani disoccupati hanno ripreso a spostarsi dalle regioni del Sud verso le "ricche" regioni del Nord, Lombardia ed Emilia-Romagna in testa.Lo Svimez afferma "nel 2008, in base agli ultimi dati disponibili, sono stati circa 270mila i trasferimenti stabili (120mila) e temporanei (150mila) Sud-Nord: numeri molto elevati, se si pensa che negli anni di massima intensità migratoria 1961-63 la quota raggiunse i 295mila".Evidentemente questa nuova ondata di emigrazione è causata dalle politiche antimeridionali che hanno mandato in crisi importanti settori produttivi che erano lo sbocco occupazionale dei lavoratori al Sud, industria, agricoltura, ecc., e hanno chiuso possibilità occupazionali anche per le nuove generazioni dello strato inferiore della piccola borghesia del Sud, le quali storicamente sono stati occupati nella scuola, nelle pubbliche amministrazioni ecc. .È certo che il Sud ha ancora enormi problemi strutturali nella sua economia, ma quello che secondo noi Giovani Democratici emerge dal rapporto Svimez è il legame tra l'aggravamento di quel complesso di elementi che definiscono la Questione meridionale e la politica antipopolare condotta negli ultimi anni dai governi nazionali e locali del "centro-destra". In sostanza, a parte la crisi economica globale, attacchi ai diritti dei lavoratrici e supersfruttamento nei rapporti di lavoro, privatizzazioni e svendita del patrimonio di infrastrutture pubbliche, spesa dello Stato sottostimata e tagli, sono questi gli elementi che hanno condotto al riacutizzarsi dei problemi del Sud.Problema dei problemi se il governo Berlusconi non si deciderà presto ad investire seriamente in sviluppo, aiuto alle famiglie, infrastrutture e lavoro vero.
INFRASTRUTTURE
Il piano programmatico sulle infrastrutture di trasporto di cui la Regione Siciliana è in possesso è fondamentale per lo sviluppo dell’Isola e soprattutto per iniziare a creare collegamenti efficaci nel mediterraneo. E’ in questo modo che la Sicilia potrebbe giocare un ruolo centrale nel mediterraneo.
Un rilevante problema per la Sicilia, è quello della carenza del sistema infrastrutturale. Il gap infrastutturale siciliano nei confronti dell’Italia (84,1 contro Italia = 100 al 2004) è grave e risulta sostanzialmente invariato negli ultimi anni. “Una regione ben dotata di infrastrutture avrà un vantaggio comparato rispetto ad una meno dotata... e questo si tradurrà in un più elevato Pil regionale pro-capite o per persona occupata e/o anche in un più elevato livello di occupazione. Da ciò consegue che la produttività, i redditi e l?occupazione regionale sono funzione crescente della dotazione di infrastrutture”.In Sicilia, dai dati raccolti attraverso i numerosissimi piani di infrastrutturazione, che a varia scala sono stati proposti negli anni, le infrastrutture risultano carenti. In particolare i valori degli indici di dotazione infrastrutturale in tema di trasporti (rete stradale, ferroviaria, e aeroportuale) testimoniano come il forte gap rilevato a livello complessivo che contraddistingue la Sicilia rispetto al resto del Paese sia da attribuire in larga parte proprio ai ritardi accumulati in tale ambito. Occorre inoltre rilevare che gli indici di dotazione non evidenziano lo stato qualitativo, o in altre parole, la rispondenza in termini di funzionalità delle infrastrutture rispetto alla domanda e non sono in grado di rappresentare la dimensione territoriale dei divari.Per quello che concerne i dati sulle infrastrutture autostradali si rileva in Sicilia la totale mancanza di una rete autostradale a tre corsie contro i 23 chilometri per 1000 kmq di superficie territoriale dell?Italia. La dotazione di autostrade a due corsie è pari a circa 23 chilometri per 1.000 kmq di superficie territoriale (l?Italia mediamente ne conta 21 chilometri). Le maggiori problematiche delle strade siciliane riguardano soprattutto lo scadente livello nei servizi agli utenti, gli alti livelli di incidentalità con i relativi tassi di mortalità che risultano superiori alla media nazionale e lo scarso collegamento tra nodi urbani, zone costiere e aree interne, con conseguente aggravio dei costi di trasporto. Debole si presenta, inoltre, il sistema delle strade rurali secondarie, sia in termini di collegamento che di livello di manutenzione e presenza di strutture a protezione e segnaletica.
1. Porti ed Interporti
Lo sviluppo delle infrastrutture siciliane ruota attorno a due grandi poli portuali.
Nella parte orientale dell’Isola, vi è l’area Pozzallo-Catania-Augusta, quest’ultima vocata al
trasporto container, con alle spalle un retroporto ben attrezzato, e da collegare in modo
intermodale (ferrovie e strade) col grande interporto di Catania Bicocca.
Nella parte occidentale, vi è il polo di Trapani-Palermo, con l’interporto di Termini Imerese,
da specializzare nel trasporto con traghetti RO-RO che consentiranno collegamenti veloci
con i porti del Nord Italia, realizzando una grande autostrada del mare.
Su queste due piattaforme logistiche, di cui potranno beneficiare attraverso un sistema
integrato tutte le province della Sicilia, si gioca una parte consistente dello sviluppo futuro della Regione.
2. Le Ferrovie
La rete ferroviaria in Sicilia si estende per 1.400 km, di cui circa 780 elettrificati o doppiamente elettrificati. Dal 1999 al 2005 la distanza coperta dalla rete non ha subito particolari cambiamenti. Entrando nel merito dell?adeguatezza tecnologica della dotazione, essa appare non sufficiente (60,5 rispetto alla media nazionale a fronte del 119,1 del Centro-Nord e del 72,3 del Mezzogiorno). Nello specifico si rileva un significativo deficit per le linee a binario doppio elettrificato.In Sicilia la localizzazione e la qualità delle rete penalizza i centri rurali interni in cui il disagio risulta notevole. Il trasporto ferroviario che per tradizione raggiungeva in maniera capillare il territorio anche delle aree rurali interne non è stato incentivato da politiche di rinnovo e ammodernamento strutturale anzi in alcuni tratti non elettrificati che potevano dare impulso a forme innovative di turismo verde e alternativo i binari sono stati smantellati.
Per il settore ferroviario, in atto sono previsti il raddoppio della tratta Palermo-Messina e la realizzazione della nuova tratta Palermo-Catania. Sono opere che, anche a medio-lungo termine, presentano oggettive difficoltà di esecuzione. Il solo tratto Cefalù-Castelbuono, che misura 12 km, con 11 km di gallerie, costa oltre 40 milioni di euro a Km.
Per ciascuna delle due tratte il costo stimato è di oltre 4 miliardi di euro.
Si tratta, allora, di prendere seriamente in considerazione una scelta alternativa: puntare
sulla velocizzazione della attuale tratta Messina-Catania-Palermo che, oltre a ben
collegare i porti ed interporti, abbraccerebbe un bacino di utenza significativo sia per il
trasporto di merci che di passeggeri, consentendo di percorrere la tratta Catania-Palermo
in 1 h. e 20 m. e in poco più di due ore la Messina-Palermo.
D’altra parte, lo studio di fattibilità riguardante il percorso Castelbuono-Catenanuova e
trasmesso ai Ministeri nel gennaio 2004, prevede la realizzazione di notevoli tratti in
galleria (alcuni fino a 39 km). Inoltre, vengono escluse le province di Caltanissetta ed
Enna.
Occorrerà dunque sviluppare ulteriori riflessioni progettuali che consentano il passaggio
attraverso le due province interne e riducano la realizzazione di tratte in galleria, in modo
da rendere più funzionale l’intero percorso ed alleggerire il costo complessivo dell’opera,
che per ora ammonta a 4 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il tratto Catenanuova-Catania Bicocca, il costo per la velocizzazione
è stato stimato in 400 mila euro. Il tempo previsto per la progettazione preliminare di questo tratto è di 16 mesi (al netto di interruzioni già in atto per controversie burocratiche).
Per la parte da Messina a Catania, è da realizzare il tratto Giampilieri-Fiumefreddo, che
è stato approvato dal CIPE con alcune prescrizioni e che ammonta a 1,97 miliardi di euro.
Si tratta ovviamente degli interventi di “prima necessità” in un sistema infrastrutturale
ferroviario che resta comunque deficitario.
In questo senso, una riflessione ulteriore andrebbe fatta, per la sua rilevanza strategica di
collegamento merci, relativamente alla realizzazione di una tratta che possa condurre da
Catania ad Augusta, consentendo la piena funzionalità dell’interporto, e di una tratta che si
colleghi all’aeroporto di Comiso.
Per quanto riguarda la provincia di Ragusa, che quasi sempre viene dimenticata, la modalità di trasporto ferroviaria ha suscitato pareri discordanti. Come si evince anche dall’indice di “infrastrutturazione” del Tagliacarne le dotazioni della Provincia di Ragusa (per infrastrutture e ambiente) risultano ben al di sotto sia della media nazionale sia della, già molto carente, sia dalla media regionale. Si è rilevata, pertanto, una doppia necessità:
a) di intervento per uno sviluppo della rete esistente (per estensione e per efficienza del servizio);
b) di intervento per una sensibilizzazione all’utilizzo della modalità ferroviaria (avvertita da alcuni stakeholder come ancora sottoutilizzata e meno efficiente rispetto alla modalità gomma).
Le necessità di intervento per potenziare la rete esistente riflette le potenzialità dei
collegamenti tra nodi (presenti e futuri) e reti (in via di programmazione o in attesa di
finanziamento); anche per le necessità della domanda di trasporto (merci e passeggeri) le
priorità emerse fanno riferimento alla realizzazione dei collegamenti ferroviari tra i maggiori
centri cittadini (Comiso, Vittoria, Ragusa) e il Porto di Pozzallo e l’Aeroporto di Comiso.
Soprattutto per la domanda di trasporto originato dall’importazione e l’esportazione di marmi,
si è resa necessaria l’opportunità di un collegamento ferroviario con il Porto di Pozzallo;
l’attuale flusso di merci su gomma infatti, oltre a congestionare intere tratte di strade
provinciali e statali (SS 514), rende più oneroso il costo del trasporto e in ultima analisi
meno competitivo un comparto molto importante per l’economia locale. Ciononostante non v’è
ancora unitarietà di intenti e di azioni sulle soluzioni programmate: l’elevato costo stimato (50
milioni di euro) per il collegamento ferroviario tra il Porto di Pozzallo e l’attuale linea esistente
per Comiso (dovuto all’interramento di parte della nuova tratta) non consente di raggiungere
una comunione di intenti sul tema in oggetto.
Sul potenziamento delle linee ferroviarie v’è altresì una preoccupazione sull’impatto ambientale
(paesaggistico) delle linee programmate. Questo aspetto, seppur necessiti un
approfondimento, non è irrilevante in un ottica di condivisione ricercata delle azioni.
E’ altresì emersa la necessità di accrescere gli attuali insoddisfacenti livelli di intermodalità,
soprattutto in relazione al trasporto pubblico urbano, e alle crescenti aspettative sui flussi
turistici (collegamenti tra l’aeroporto e le principali attrattività turistiche del comprensorio:
Vittoria, località balneari, Ragusa, Modica ecc.).
3. Strade ed Autostrade
Per quanto riguarda le strade dell’Isola, possiamo dire senza alcun dubbio che siamo indietro di almeno un secolo rispetto al resto d’Italia.
Una fitta rete stradale è necessaria per coprire e raggiungere tutto il territorio siciliano, collegando tutti i più importanti centri della regione . Una rete stradale efficiente e sicura è fondamentale anche per i cittadini stessi.
Urgente e necessaria è la fine dei lavori ed il completamento dell’autostrada Catania-
Siracusa, prevista per il 2009, con un costo totale di 804 mila euro. (Da premettere che il tratto aperto è stato nuovamente chiuso).
Altro intervento prioritario è quello che riguarda il completamento dell’itinerario Agrigento-
Caltanissetta ed il completamento della Palermo-Agrigento, il cui progetto iniziale è in corso di rivisitazione con una drastica riduzione della portata dell’intervento progettato in origine. Si ritiene altresì necessario lo snellimento delle attività connesse alla realizzazione delle tratte statali in via di potenziamento (Statale Ragusa – Catania), una strada che deve essere realizzata da più di 50 anni e che ancora vede diverse difficoltà a causa della riduzione dei fondi da parte del governo Berlusconi.
4. Aeroporti
L’intervento prioritario si concentra sull’aeroporto di Comiso, a supporto dell’aeroporto di
Catania ed a copertura dell’area orientale dell’Isola.
L’aeroporto di Comiso, è costato 47,4 mila euro (finanziato con fondi POR, con delibera
CIPE, ma anche con fondi privati) doveva entrare in pieno regime già dall’anno scorso ma ancora aspettiamo l’apertura. A tal proposito il Partito Democratico della Provincia di Ragusa ha già avviato una petizione popolare per l’immediata apertura e funzionamento dello stesso.

La sua funzione è fondamentale per i trasferimenti cargo verso i mercati nazionali ed
internazionali e rappresenta una valida alternativa in caso di chiusura dello scalo etneo.
Inoltre, la sinergia con l’aeroporto di Catania, può consentire il decongestionamento
offrendo spazio ai charter “low cost”.
D’altra parte, occorrerà prevedere la celere realizzazione delle necessarie infrastrutture di
collegamento (viarie/ferroviarie) con l’interporto di Catania e con le aree portuali di
Augusta e Pozzallo affinché, garantendo un’adeguata dinamicità degli spostamenti di
merci e passeggeri, Comiso non si ritrovi isolata, rischiando in tal modo di vanificare gli
impegni economici e le energie fin qui spesi.

5. Il Ponte sullo Stretto
Come tutte le grandi opere, anche il Ponte di Messina è stata sempre fonte di lungo dibattito tra opinioni e sentimenti diversi, ha suscitato opposizioni di tipo politico, economico, etico e quant'altro.Di fronte all'approvazione del progetto Ponte di Messina, si pongono numerosi quesiti e critiche.Le prime critiche vengono mosse proprio da chi dovrà avere a che fare con il ponte direttamente in prima linea: i siciliani e i calabresi.Tra questi c'è chi pensa che la costruzione del Ponte di Messina sia assolutamente inutile.Molti siciliani ad esempio sono fieri del loro essere isolani o comunque ritengono di avere altre necessità in primo piano, come ad esempio la siccità che frena tantissimo lo sviluppo economico dell'isola.Nel Sud del Paese è presente un profondo scetticismo sulla concreta realizzazzione dell'opera, scetticismo motivato da anni e anni di disservizi e inadempienze della Pubblica Amministrazione.La paura che il ponte di Messina si riveli l'ennesima "cattedrale nel deserto", che le strutture ferroviarie e autostradali promesse e necessarie affinché questa colossale opera abbia un senso, rimanga pura utopia.
I siciliani si chiedono: “a cosa serve il ponte se prima non si realizza e migliora la rete stradale?”.Inoltre, c'è chi non vuole vedere deturpate ed inquinate le bellezze naturali di Ganzirri e Villa, nonostante nella progettazione del ponte di Messina si sia fatto il possibile per ridurre ai minimi termini l'impatto ambientale.Queste idee si scontrano duramente con chi invece vorrebbe vedere decollare finalmente l'economia di questi posti e crede fermamente che il ponte rappresenti la chiave di volta per accorciare le distanze fisiche ed economiche e poter assottigliare le differenze che separano la Sicilia dal resto dell'Italia.
SISTEMA DELLE INFRASTRUTTURE DELLE ACQUE IN SICILIA
Dagli studi e dalle indagini che si susseguono ormai da oltre mezzo secolo sulla situazione idrica in Sicilia è possibile affermare che la carenza d’acqua nell’isola è principalmente un problema politico e nasce da una cattiva gestione delle risorse, condizionata pesantemente dalle ingerenze mafiose e attuata per troppo tempo in assenza di un quadro di riferimento certo e di una programmazione coordinata.
In Sicilia risultano classificati dal Servizio idrografico 121 bacini idrografici di cui 59 nel versante settentrionale, 40 nel versante meridionale e 22 nel versante orientale. Di questi 121 bacini idrografici 79 hanno una superficie inferiore ai 100 Kmq, 35 compresa tra 100 e 500 Kmq e solo 7 oltre 500 Kmq.
A partire dalla fine degli anni Quaranta, e soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, si è dato avvio alla costruzione di dighe o alla deviazione dei fiumi per portare l’acqua dove era richiesta e per risolvere il problema dell’incremento delle aree irrigue.
Ad oggi in Sicilia le opere di sbarramento che rispondono alla definizione di “grandi dighe” sono ben 44. Considerando inoltre le opere in costruzione e quelle iniziate e non completate non riesce a capire come in Sicilia ci sono zone ed intere città che hanno gravi scarsità di acqua.
Va comunque sottolineato che attualmente sono soltanto 14 gli invasi che funzionano a pieno regime e possono, quindi, essere riempiti fino alla prevista quota di massima regolazione; tutti gli altri a causa dei mancati collaudi, funzionano in maniera parziale. Di questi ultimi il Servizio Nazionale Dighe ha autorizzato il riempimento ridotto e ha fissato per ciascun invaso limiti di sicurezza che obbliga gli enti gestori a continui svuotamenti delle dighe, appena l’acqua supera i suddetti limiti.
In Sicilia le opere relative alle sistemazioni idrauliche dei corsi d’acqua e alle diverse attività connesse al loro uso sono state affidate alle competenze di una indistinta pluralità di enti regionali che raramente colloquiano fra loro. Il susseguirsi di lunghi periodi di siccità che hanno interessato l’isola in questi ultimi anni ha invece indotto il governo regionale a istituire l’Ufficio del Commissario delegato( il Presidente della Regione) per l’emergenza idrica la cui funzione è quella di gestire e coordinare l’erogazione d’acqua nell’isola secondo le diverse esigenze avanzate dagli enti gestori relativamente agli usi irrigui, potabili e industriali.
Inoltre è da sottolineare il ruolo della Protezione civile, che investe centinaia di milioni di euro in opere attuate al di fuori di un quadro unitario. Gli interventi nei settori delle alluvioni, del dissesto idrogeologico e delle reti costituiscono una risposta che si sovrappone alla situazione attuale come un sistema indipendente attuato secondo la logica dell’emergenza e in assenza di alcuna programmazione.
Le scelte progettuali relative alla gestione dell’acqua in Sicilia risultano avere due punti in comune che rappresentano anche due limiti: non avendo a disposizione dati sui consumi attendibili, i fabbisogni erano determinati in base a parametri di consumo unitario e su una crescita demografica sovrastimata; alle carenze idriche riscontrabili in diverse zone dell’isola si poteva rimediare con la costruzione di serbatoi ed invasi di compenso nelle aree di maggiore deflusso con sistemi di interconnessione con le aree in cui si riscontravano le necessità. Questa programmazione non ha però conseguito risultati apprezzabili ma, al contrario, ha determinato impatti ecologico-ambientali negativi e non ha contribuito alla soluzione dei problemi relativi alla carenza d’acqua. Interi cicli ecologici sono stati stravolti proprio a causa dei forzosi trasferimenti di acqua e di drastici interventi di sistemazioni idrauliche. Queste ultime hanno determinato condizioni di elevato degrado negli ecosistemi fluviali provocando uno stato di disequilibrio dei corpi idrici superficiali con ripercussioni anche sulla dinamica delle coste.
Siamo di fronte alla solita ed endemica scarsa infrastrutturazione dell’isola che tanti guai e disguidi sta comportando ai cittadini.
Acqua che non arriva (clamoroso il caso di Agrigento), condutture fatiscenti che perdono sino al 60% di questa preziosa risorsa, ferrovie a binario unico con tempi di percorrenza infiniti, autostrade mai terminate con finte feste inaugurali nonché strade di normale traffico non completate o con scadente manutenzione. Insomma siamo di fronte ad un modello di scarsa o poca affidabilità per quanto riguarda servizi essenziali ai cittadini. In compenso fervono dichiarazioni e preparativi entusiastici per il Ponte sullo stretto, faraonica costruzione che sembra piacere molto alle istituzioni legali tanto quanto a quelle “illegali”.


Infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti.

Nel 1999 fu dichiarato lo stato di emergenza per la questione dei rifiuti in Sicilia e con Ordinanza del Ministero dell’Interno, delegato per il coordinamento della Protezione Civile, il Presidente della Regione fu nominato Commissario Delegato per la predisposizione di un Piano di interventi di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti e per la redazione degli interventi necessari per fare fronte alla situazione di emergenza.
E’ proprio in questi giorni nuovamente all’esame dell’Assemblea Regionale il problema delle scelte operate dall’aggiornamento del Piano dei rifiuti, predisposto dal Presidente-Commissario, che ha sollevato perplessità fra le forze politiche sia di opposizione che di governo, dure critiche di associazioni ambientaliste e di tecnici e studiosi del settore, nonché proteste da parte delle popolazione delle aree interessate dalla localizzazioni di impianti previsti dal piano .
Il Piano pone come centrale la scelta di dare il via alla realizzazione di quattro termovalorizzatori che dovrebbero smaltire almeno il 60% dei rifiuti urbani prodotti dai siciliani. Ma l’obiettivo della quota del 35% dei rifiuti in raccolta differenziata (il cui raggiungimento era obbligatorio entro il 2003) è ancora lungi dall’essere stata raggiunta, attestandosi attualmente al 4-5%. Il raggiungimento della quota prescritta del 35% è prevista per il 2010 ma per il perseguimento di tale risultato non sembra che siano state studiate adeguate strategie.
Quello che viene contestato non è di prevedere la realizzazione di quattro termovalorizzatori , per l’incenerimento dei materiali dotati di sufficiente potere calorifero alla fine del ciclo completo di raccolta ( differenziata e non), smaltimento, riciclaggio e trattamento dei rifiuti, ma di puntare direttamente e, di fatto, solo sui termovalorizzatori per la eliminazione dell’emergenza rifiuti. A ciò si aggiunge l’”infelice” scelta dei siti degli impianti.
Leggendo i dati descrittivi degli impianti di termovalorizzazione da realizzare essi risultano sovradimensionati e atti a trattare indistintamente tutti i rifiuti solidi urbani e non solo la parte residuata da altre forme di riciclaggio e trattamento. Grossa quantità di rifiuti trattati dagli inceneritori significa,peraltro, grossa quantità di residui della termovalorizzazione che andranno smaltiti alle discariche per rifiuti speciali. A rendere “appetibile” o almeno accettabile la scelta dei termovalorizzatori dovrebbe essere la produzione di energia, fino a coprire il 20% del fabbisogno energetico regionale.
In quanto ai siti individuati per gli impianti di termovalorizzazione (uno per ciascuno dei quattro ambiti territoriali individuati a cavallo di più province) essi risultano o ubicati in prossimità, o addirittura all’interno, di aree SIC e ZPS , ovvero in prossimità di un sito archeologico (è il caso dell’inceneritore di Augusta), mentre quello di località Bellolampo andrebbe ad incombere sulla città di Palermo, come oggi vi incombe la discarica ospitata nello stesso sito, in prossimità di area urbana e con vie di accesso inadeguate ,nè adeguabili, al traffico determinato dai mezzi di trasporto dei rifiuti che vi dovrebbero affluire .Si è trattato, evidentemente, di scelte effettuate al di fuori di qualsivoglia studio integrato del territorio e senza coordinamento con altri strumenti di pianificazione .
Le gare per l’affidamento dei lavori ( costo complessivo dell’investimento circa 1 miliardo di euro) sono state espletate e sono state stipulate le convenzioni per la realizzazione dei quattro termovalorizzatori , ma nel contempo sono insorte reazioni al piano ed alla individuazione dei siti degli impianti, con ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato e presentazione di una denuncia di infrazione alla Commissione Europea da parte di Legambiente e WWF.
Ovviamente si sono anche innescati fenomeni di rifiuto da parte delle popolazioni locali ad vedere realizzati gli impianti sul proprio territorio e per rendere accettabile le scelte operate una delle Ditte convenzionate ( titolare per tre dei quattro termovalorizzatori) ha puntato sulla qualità del progetto architettonico, affidando l’incarico ad uno studio internazionalmente noto, quello di Kenzo Tange. Ma il problema non è quello di realizzare un impianto “bello” bensì quello di realizzare impianti in luoghi ambientalmente compatibili e dimensionati correttamente, avendo garantito prioritariamente che venga attuato l’intero ciclo di smaltimento dei rifiuti, valorizzando la raccolta differenziata ed il riciclaggio dei rifiuti.
SPAZI VERDI IN CITTA’
La crescente consapevolezza dell’importanza degli spazi verdi all’interno del tessuto urbano, è ormai frutto di un sentimento diffuso e consolidato. Esso si basa sulla richiesta ed un bisogno sempre maggiore di sviluppare un modello urbano più vivibile e sostenibile. A livello urbano, si può definire sostenibile una città che riesca a soddisfare i bisogni degli abitanti attuali, senza compromettere alle generazioni future la capacità di soddisfare i propri. In tale contesto è quindi importante che la città in sé riesca a riqualificare il proprio tessuto, e ciò è fattibile, anche e soprattutto, grazie al prezioso contributo offerto dal verde urbano e periurbano tramite le caratteristiche e funzioni che riesce ad assolvere in un contesto così artificiale. Alle luce di queste considerazioni noi Giovani Democratici abbiamo elaborato un Piano Strategico del verde per le città siciliane, al fine di migliorarne l’attività di pianificazione, progettazione, gestione e manutenzione degli spazi verdi pubblici. Questo tipo di strumento, che si riferisce ai principi ed ai criteri delle buone pratiche di governance ha molta rilevanza per il miglioramento del modo di vivere urbano. Esso s’inquadra nei principi e nei criteri generali della sostenibilità, ad ha la finalità predominante di accrescere il livello di qualità ambientale della città, cercando di valorizzare gli spazi verdi e rendendoli il più possibile accessibili, inglobandoli in una rete verdeche ne stimoli la connettività. Operativamente si è optato, previo approccio conoscitivo al territorio, per una scelta che prediliga l’individuazione e il successivo monitoraggio di tutti gli spazi verdi della città. Dopo l’analisi dei risultati ottenuti e la predisposizione di un database degli spazi verdi, si può delineare uno schema strutturale di piano e si sono individuati degli assi strategici, al fine di indicare le linee da seguire per un corretto modo di operare. Questo piano, inoltre, si potrebbe configurare come un processo decisionale e di attuazione basato sulla partecipazione attiva e sul coinvolgimento diretto dei cittadini, proponendo l’attuazione di partnership allo scopo di gestire ed accrescere le risorse del territorio. Il concetto della partecipazione è basilare in un’ottica di democrazia e di accrescimento della coscienza cittadina nei confronti del verde urbano, affinché venga correttamente salvaguardato e vissuto. Nelle città sono necessari gli spazi verdi per gli anziani e per i bambini. Negli ultimi decenni, nella clamorosa esplosione delle aree urbane, guidata quasi sempre da interessi speculativi più che da progetti sociali e urbanistici, i centri storici hanno perso gli abitanti per diventare aree commerciali e di rappresentanza, sono nate le periferie per i ceti più poveri, sono stati costruiti nuovi quartieri per i più ricchi, ma non sono stati organizzati servizi per le categorie sociali più deboli come gli anziani, gli handicappati, gli extracomunitari. Nascono anche i centri commerciali come vere città del consumo o i grandi ospedali come luoghi della malattia. Le strade e le piazze perdono la loro originaria funzione di connettivo urbano, di luoghi della mobilità e dell’incontro per essere totalmente monopolizzati dalle automobili. Le persone vivono o in macchina o in casa, la città diventa pericolosa, privata della cura e del controllo del “vicinato”.
In questo modello di sviluppo i bambini perdono i loro spazi “naturali” di gioco e gli anziani i loro spazi di incontro (le strade, i cortili, gli spazi liberi) e per loro si progettano spazi e servizi specializzati, come la cameretta dei bambini in casa, le ludoteche, i nidi, ecc.
In Sicilia, le infrastrutture e le strutture per queste categorie sociali “deboli” sono del tutto inesistenti e l’amministrazione regionale non è riuscita a dotarsi di un piano programmatico adeguato per favorire lo sviluppo di quest’area sociale importante.
La Regione Siciliana dovrebbe prendere un bell’impegno con i cittadini: per una città più sana e vitale dovrebbe garantire aree di verde per ogni città.
L'obiettivo è creare una città più ecologica, connettendo gli spazi urbani con grandi parchi salvaguardando e riqualificando le residue aree agricole così da mettere a disposizione dei cittadini maggiori mq di verde. Puntare sul verde è una scelta giusta: le oasi verdi hanno e avranno sempre più un'importanza prioritaria per trattenere le polveri sottili, assorbire il CO2, produrre ossigeno e rinfrescare l'ambiente per garantire una città più sana e vitale.
I DISABILI IN CITTA’
Una questione davvero fondamentale cui solo di recente si è prestata sufficiente attenzione, almeno sul piano internazionale: sono da ricordare, in particolar modo le “Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano europeo” (2004-2010 ) e la “Convenzione Onu sulla disabilità” (2008). E sul piano nazionale e locale? Al di là di generiche promesse, resta ancora molto da fare, come documentano recenti notizie di cronaca sui disagi e le difficoltà spesso insormontabili provocati dai diversi handicap sui luoghi di lavoro e nella vita quotidiana e soprattutto sulla mancanza di strutture adeguate.La mancanza di strutture adeguate per i diversamente abili provoca delle discriminazioni cui sono soggette persone con menomazioni, quali la cecità, la sordità, le difficoltà di deambulazione, che non impedirebbero loro di essere produttive se solo la società fosse davvero disposta ad includerle. La loro relativa mancanza di produttività non è dunque “naturale”, ma è il prodotto di condizioni sociali discriminatorie, analoghe per molti aspetti a quelle legate alla razza e al sesso.
Le persone sulla sedia a rotelle possono spostarsi bene e svolgere il proprio lavoro nella misura in cui gli edifici hanno le rampe, gli autobus l’accesso adeguato e così via. Le persone cieche possono lavorare più o meno ovunque, in quest’epoca di tecnologia audio e di segnaletica tattile, se i posti di lavoro includono queste tecnologie. Le persone sorde possono essere avvantaggiate dalle e-mail al posto del telefono e da molte altre tecnologie visive, sempre a patto che i luoghi di lavoro si strutturino in modo da includerle. Sennonché lo spazio pubblico è organizzato per rispondere alle esigenze delle nostre “protesi” - le automobili, gli autobus - non alle esigenze delle protesi dei cosiddetti disabili.
“Noi asfaltiamo strade, disegniamo corsie per gli autobus mentre spesso non creiamo rampe o accessi sugli autobus per sedie a rotelle. Lo spazio pubblico è un prodotto delle idee sull’inclusione: costruendo le strade in un modo e non in un altro, escludiamo una persona che può essere altamente competente e produttiva, ma che ha la sfortuna di essere cieca?”.È in gioco, potremmo dire, il diritto di non essere perfetti. Sarebbe legittimo attendersi dalla nostra regione siciliana il buon esempio di una più ampia inclusione.
TAGLIO ICI: il Governo Berlusconi recupera i soldi ridimensionando i fondi FAS alla Sicilia
Strombazzato da tutti i media, il taglio dell’ICI sulla prima casa è stato uno dei provvedimenti promessi in campagna elettorale da Berlusconi ed attuati nel primo Consiglio dei Ministri a Napoli.
Quello che non è stato strombazzato da nessuna parte, nè in campagna elettorale, nè adesso, è la copertura economica dei mancati introiti del taglio dell’ICI sulla prima casa.
Ebbene il grido di allarme arriva dall’ex Vice Ministro alle Infrastrutture Angelo Capodicasa e dal Ministro ombra alle Infrastrutture del Pd Martella: pare che la copertura finanziaria sia derivante dal taglio dei fondi per le infrastrutture per il Sud. In particolare la Sicilia.
“I soldi ex Fintecna destinati dal Governo Prodi per realizzare il secondo lotto della Agrigento-Caltanissetta, le metropolitane di Palermo, Catania e Messina, il nuovo attracco per il porto di Messina ed il passante ferroviario di Palermo,la Catania- Ragusa sono stati destinati a coprire il taglio dell’Ici per le case dei ricchi del Nord Italia, considerato che le famiglie meno abbienti erano già state esonerate dal pagamento dell’Ici dal Governo di centrosinistra”.
Ma l’ “Mpa – Alleati per il Sud“, partito di ispirazione autonomista e a difesa del Sud, a detta del suo leader Lombardo, dov’era mentre veniva messo in atto questa rapina nei confronti del sud??
Forse a continuare a difendere quel ponte di Messina che sarebbe rischioso, in quanto costruito in una delle zone più telluriche d’Europa, ed inutile perchè senza il resto delle infrastrutture servirebbe veramente a poco, forse esclusivamente ad unire anche geograficamente gli interessi economici di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta?
Il Governo Berlusconi inizia per quello che è: un Governo populista che invece di cercare di risolvere i veri problemi della Sicilia e del Sud, attraverso provvedimenti a favore delle classi sociali più abbienti, cerca di preservare il proprio consenso elettorale e non aiuta la crescita dell’Italia, che dovrebbe partire proprio da quel Sud, che eppur gli ha portato tanti consensi.

Valentina Spata

INCIDENTI STRADALI

Pericolosi come l'alcol e la droga
Incidenti stradali: dalla Gran Bretagnail video shock sui cellulari alla guida


di Gianluca Boncoraglio
Lunedì 24 Agosto 2009 - 12:04

Anche quest'anno, come ogni estate, la strada, miete vittime innocenti, spezza vite, lascia uno strascico di lacrime, dolore e soprattutto riflessione.Si considerano sempre morti assurde, morti che non hanno una vera ragione, tragiche, lasciano vuoti incolmabili, famiglie distrutte, ma nella loro assurda conseguenza, devono portarci a guardare avanti, capire e cercare, laddove possibile, di prevenire ogni singolo episodio che possa mettere a repentaglio la nostra e la vita degli altri.Comunità come Ragusa, ultima in ordine cronologico e Scoglitti, sono rimaste colpite in questi giorni di vacanze, di festa, da due eventi tragici, vogliamo chiamarli anche fatali, si, perchè in molti casi si parla di fatalità, destino.
Una cosa è certa, le nostre strade non sono il massimo, presentano molte ed evidenti lacune dal punto di vista urbanistico e del manto stradale, ma la vera responsabilità, quella, che secondo anche le statistiche (secondo un sondaggio ISTAT la causa principale degli incidenti sono i comportamenti errati di guida (97,3% dei casi), il mancato rispetto delle regole di precedenza, la guida distratta e la velocità troppo elevata costituiscono da sole il 50% dei casi), è la nostra guida.Recentemente, nel Regno Unito, gira in Tv, un video sulla sicurezza stradale, che cerca di eliminare completamnte l'uso dei cellulari in macchina, soprattutto degli sms, agghiacciante, degno di un film dell'orrore, dove una ragazza, al volante insieme due amiche, si distrare causando un tamponamento a catena dalle conseguenze catastrofiche.Ogni frame del video è rallentato pe mettere ancora piu' in mostra le sequenze dell'impatto, devastante, assassino.Neanche i controlli serrati delle forze dell'ordine, per limitare l'uso di sostanze alcoliche e stupefacenti, soprattutto per chi è alla guida, aiutano a migliorare la situazione.Basta un attimo, una frazione di secondo, per rovinare un intera vita, per spezzare un sogno, un sogno proprio, o di qualcun altro, che non sa nemmeno perchè, o per lo meno, non lo saprà mai.Il dolore viene lasciato alle famiglie, agli amici, i perchè ai mass media, che con le loro campagne cercano di portare il buon senso al guidatore, ai nostri amministratori, che cercano di poter dar sviluppo e sicurezza alla nostra terra.Lasciamo per un attimo stare le strade, ogni manifestazione, ogni iniziative presa, che si è svolta per sostenere una causa importante come ammodernare o migliorare le nostre infrastrutture, è stata una goccia nell'Oceano, una lotta simile a quella intrapresa dal buon Don Chisciotte e dal fedele Sancho Panza contro i mulini a vento.
Le strade che abbiamo sono queste, e dobbiamo tenercele a lungo ed è proprio per questo che dobbiamo lasciare stare i moralismi, o le frasi come "Vittime della strada" o "strada assassina", e per un attimo pensiamo, che queste sono vittime delle nostre disattenzioni, delle nostre fatalità, dei nostri errori.

GUARDA IL VIDEO E RIFLETTI
http://www.youtube.com/watch?v=2TurTaBvu6E

LA CITTA' CHE VORREI

Care lettrici e cari lettori,
benvenuti nello spazio dedicato alla “Città che vorrei”, sezione in cui tratteremo, non solo le vostre segnalazioni inerenti ai problemi che riguardano la nostra città, ma sarà anche quello strumento per porre degli spunti interessanti circa la città che immaginiamo, la città che desideriamo, la città dl futuro, la città che vorremmo, la città non solo del PD , ma tanto delle donne e degli uomini, delle giovani e dei giovani, insomma la città delle ragusane e dei ragusani.
Questa sezione nasce con l’intento di poter far avvicinare di più la politica ai cittadini, alle loro esigenze e ai loro problemi quotidiani che, spesso, non vengono presi in considerazione e quindi ignorat, ma anche per captare delle esigenze che non per forza devono essere segnalate da gente attiva politicamente.
Oggi più che mai, dobbiamo renderci conto che è la politica tra la gente, la “politica di quartiere”, quella che veramente è al servizio dei tanti e non dei pochi, che noi riteniamo la “politica giusta e necessaria” ; crediamo che la nascita di questo giornalino possa contribuire a dare voce a chi veramente vuol cambiare e far cambiare lo stato delle cose.


Uno dei problemi più sentiti sicuramente riguarda la condizione del manto stradale in città: le buche, e ogni altra pericolosa deformazione della strada rendono non facile la vita per le autovetture e i motocicli, che spesso subiscono danni di cui non ci accorgiamo, e nemmeno per i conducenti che debbono “schivarle” compiendo bruschi movimenti. È vero però che ultimamente ho notato che diverse strade sono state riasfaltate ( cito la strada che dalla Questura porta alla Basaki), però è altresì necessario che vengano effettuati sopralluoghi sulle arterie principali o quantomeno in strade molto trafficate( ad esempio la via G.B. Odierna è in condizioni pietose oppure nel quartiere di Ibla il tratto finale di via del Mercato che arriva in P.zza Repubblica) per individuare e risistemare le eventuali buche e/o tratti di strada. Altra strada che ci hanno segnalato e il prolungamento di via Avv. Giovanni Cartia (la stradina sterrata vicino al semaforo che porta allo Sporting Club) che necessita di essere asfaltata.
Un altro problema collegato alla risistemazione della pavimentazione stradale riguarda la copertura delle buche che, spesso, dopo pochi giorni cominciano di nuovo a riaffiorare. Occhio perciò anche alla manutenzione!
Se volete segnalare altre strade in stato di degrado fatelo, cosi saremo più precisi nelle segnalazioni.

Spostiamoci ora alla questione delle rotatorie: ne segnaliamo tre in particolare, quella di via Zama, quella in via Psaumida(vicino al parcheggio dove fanno il mercato) e quella che si trova tra la via S.Luigi e corso Vittorio Veneto.
Credo che esse necessitino di essere riviste, in particolare io penso che quella che solleva più perplessità sia quella di via Zama: anzitutto perché cosi come è strutturata ha reso l’incrocio più stretto e quindi più difficile da percorrere, inoltre può creare confusione alle persone più anziane e causare incidenti dato anche il fatto che chi scende dal cavalcavia spesso arriva all’incrocio a velocità elevata rispetto ai limiti prescritti dal codice della strada.
Anche i semafori meritano la loro attenzione: in particolare il semaforo all’incrocio tra la via Forlanini e la via Mongibello risulta perennemente spento e quella zona che è soggetta a molto traffico dovrebbe essere regolata meglio proprio dal semaforo non funzionante. Noi chiediamo che quel semaforo venga ripristinato in modo tale da assicurare un corretto flusso del traffico.

Altre richieste che ci vengono segnalate riguardano gli stalli di sosta a strisce blu, in particolare si richiede che venga prolungato l’orario di scadenza da 12 ore(come è attualmente) a 48 ore e in più che ci sia un abbassamento del costo del ritardo di pagamento fino a un massimo di 2/3 euro.
Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, bisognerebbe velocizzare il lavoro di smaltimento per fare in modo che i cassonetti e i cestini rimangano il meno pieni, cosi da evitare alla gente di mettere i sacchi della spazzatura a terra, creando delle vere e proprie “collinette” di rifiuti maleodoranti.
Altro problema segnalato riguarda il numero di furti in aumento nelle zona dei “pianetti”, gli abitanti del quartiere richiedono maggiori controlli per evitare spiacevoli sorprese.

Un’altra segnalazione che ci è pervenuta riguarda la collocazione di alcune pensiline con panchine nella strada dove è situata la Questura, per evitare alle persone che aspettano davanti all’ufficio immigrazione di rimanere in piedi sia nelle giornate afose e soleggiate(riparandosi dai raggi solari) sia nelle giornate piovose e fredde(riparandosi dal vento e dalla pioggia).
Richiesta che merita la sua attenzione ancor di più se tra le persone ci sono persone anziane, donne incinte e bambini. Se debbono aspettare davanti agli uffici, che almeno possano stare più comodi!

Passiamo al tema turistico: essendo Ragusa(in particolare il quartiere di Ibla) città che è riconosciuta come patrimonio dell’UNESCU e quindi che attrae un numero sempre più crescente di visitatori, è opportuno migliorare la segnaletica, magari nelle zone meno vicine ai siti di interesse turistico(tipo nelle stazioni principali degli autobus a Ragusa Centro) in modo tale da rendere meno difficoltoso il lavoro di “esplorazione” di quest’ultimi. A favore di ciò sono state anche create delle mappe contenenti tutti i siti da visitare, disponibili nei vari esercizi commerciali: proprio per questo si potrebbero creare delle specie di gazebo proprio per quelle zone citate prima(le stazioni degli autobus principali come quella di via Zama) dove creare dei veri e propri punti di informazione turistica, per venire incontro più efficacemente ai turisti.
Ovvio che oltre alla segnaletica di tipo turistica è necessario anche monitorare la segnaletica stradale, spesso dimenticata e che invece merita una maggiore attenzione.

Salvatore Ucchino

UNIVERSITA': UNA BATTAGLIA VINTA ANCHE DAGLI STUDENTI

Abbiamo lottato, abbiamo temuto il peggio ,ma alla fine l'abbiamo spuntata! il contributo degli studenti, di concerto con le istituzioni, è risultato essenziale per la vittoria definitiva, che sin dall'inizio, abbiamo deciso fosse giusto, nn avesse colori di partito.Un risultato importante per il nostro presente, ma fondamentale per il futuro di quelle migliaia di ragazzi e ragazze che potranno usufruire di un servizio che sin dall'inizio abbiamo ritenuto di qualità; lungi da noi difendere l'università sotto casa per sfornare esami e lauree di basso livello, tutt'altro!Noi abbiamo creduto nella difesa dell'università in nome e per conto della qualità e del livello dell'offerta didattica e fomativa.Ad avvalorare questo principio è stata la nostra scelta, forte ma necessaria, di mettere fine all'esperienza "medicina e chirurgia" che nn risultava virtuosa nè per il territorio ma soprattutto per quegli studenti che, avendo deciso di fare il medico, nn erano in condizioni di potersi formare da MEDICI, mancando quelle condizioni idonee per continuare un percorso serio e responsabile.I giovani democratici, componente fondamentale di questa battaglia, avendo contribuito alla formazione del COMITATO PRODECENTRAMENTO, sono orgogliosi di avere partecipatp a quella forte spinta propulsiva, insieme a tutti gli altri soggetti, per arrestare le scelte scellerate del rettore che si sono dimostrate inutili e vane, alla luce della forza delle argomentazioni poste in essere.Non possiamo che ringraziare tutti quegli studenti che hanno dato vita a uno dei più grandi fermenti culturali e di partecipazione che rimarranno nella storia del movimento studentesco degli ulti 10 anni, probabilmente di più....(questo non lo diciamo noi, ma gli stessi studenti catanesi che mai avevano visto tutto questo movimento e una così grande partecipazione!).Grazie a tutti quegli studenti che c'hanno creduto, che hanno fatto sacrifici, che magari nn hanno potuto dare la materia e che hanno dovuto saltare l'appello, ma tutti i sacrifici sono stati ripagati dagli sforzi di quei 2 giorni.Si, infatti per ben 2 giorni, per ben 2 volte, 200 studenti hanno preso l'autobus e col caldo terribile fatto 2 ore di viaggio all'andata e 2 ore al ritorno. Ma la nostra più grossa soddisfazione è che la politica, intesa come l'interesse per la nostra polis, nel caso specifico per la nostra polis universitaria, nonchè collettività e comunità universitaria, è riuscita ad ottenere un grande risultato.I giovani democratici insieme a tutto il COMITATO PRODECENTRAMENTO e soprattutto insieme a quello spontaneo movimento civico e di partecipazione sentita, nato dal basso, hanno creduto, lottato e vinto, dimostrando altresì che la nostra comunità iblea è tutt'altro che "babba", unendo alla forte determinazione una grande civiltà nel manifestare il nostro dissenso. Ma nn ci dobbiamo fermare: dobbiamo continuare a tenere alta l'attenzione per i problemi materiali degli studenti.Ci sono dei gap che possono essere colmati se noi saremo bravi a porli, continuando col dialogo istituzionale che c'ha visto protagonisti col consorzio.Consorzio che, in netta discontinuità con la gestione precedente, ha aperto finalmente una fase di dialogo vera con gli studenti, capendo che diventa essenziale fare squadra con chi vive ogni giorno la quotidianeità e la complessità dei problemi dell'asse portante dell'università: gli studenti!Quindi sin da subito chiederemo un incontro al consorzio e alle istituzioni iblee, per affrontare tutti i nodi irrisolti degli studenti, convinti che anche questi saranno sciolti se la volontà sarà ancora una volta quella di costruire insieme una università migliore per il presente e per il futuro dei nostri studenti, convinti che tutto ciò servirà a rilanciare ulteriormente la nostra cara università iblea.
Mario D’Asta

OLTRE AD ESSERE UN PARTITO GIOVANE SARA' ANCHE IL PARTITO DEI GIOVANI?

Siamo in piena fase congressuale e la fase del tesseramento si è appena chiusa da circa un mese; siamo nel vivo del dibattito politico che, anche se duro e aspro, servirà ad un confronto che porterà il PD ad avere una linea politica più forte e chiara; nel nostro partito si fanno i congressi, si discute, ci si confronta a differenza degli altri partiti di natura verticistica. E' ormai da quasi due anni che il PD è nato nella sua fase costituente e ora si accinge a diventare un vero e proprio partito, un partito che avrà un suo radicamento, una sua territorialità ma che soprattutto costruirà ad ottobre una sua identità definitiva politica e culturale a livello nazionale; il PD ora deve fare un salto di qualità, trasformarsi da fase costituente a partito con la P maiuscola, con le forme e l'organizzazione di un partito vero e proprio, un partito che dovrà avere la capacità nn solo di raccogliere le istanze dei cittadini ma che dovrà avere una piattaforma di risposte politiche in chiave riformista; un partito che dovrà avere la capacità di raccogliere tutte le culture riformiste, quella socialista, socialdemocratica, liberaldemocratica e cattolica-democratica rilanciando un progetto chiaro che sappia dare una linea chiara al paese nei suoi valori che lo contraddistinguono e lo differenziano dalla destra populista e demagogica che imperversa nel nostro paese anche a causa di una informazione che tende a essere faziosaMa nn possiamo neanche negare le responsabilità politiche di un pd a volte litigioso, lasciato alle prime dichiarazioni di leaders che hanno contribuito a al processo di deleggittimazione dell'ex segretario e determinato le dimissioni di Veltroni; non possiamo negare che il pd in questi 2 anni abbia avuto più voci, più sensibilità che poco hanno dialogato e che hanno fatto fatica a fare sintesi._Quindi si capisce come il congresso di ottobre diventa fondamentale nella dialettica e nel confronto che lo contraddistinguerà per trovare un suo progetto di paese chiaro e forte, una sua articolazione che lo porterà a diventare, ancora di più, il più grosso punto di riferimento d'opposizione rispetto al decadentismo culturale e politico che governa il paese.Ma in tutto questo i giovani che ruolo avranno?credo che il ruolo sia secondario e subordinato alla capacità di porre le questioni politiche e portarle avanti con capacità di analisi e riflessione prima e azione politica poi.Lungi da noi farne una questione anagrafica, ma semmai crediamo che se riusciremo a porre temi politici, come, ad esempio, quel grande patto generazionale, di solidarietà tra le generazioni, oppure la capacità di elaborare proposte di sviluppo complessivo rispetto a luoghi di vissuto quotidiano dei giovani stessi( lavoro, scuola, università...), ma anche e soprattutto la capacità di innovare e rinnovare, il partito nel metodo e nel merito delle questioni, rispettando le storie dei partiti di provenienza,Già il PD rispetta quel principio vincente per cui le storie e le ideologie sono state superate in un ottica di partito moderno in cui i valori della sinistra e dei cattolici, dei lavoratori e delle piccole e medie imprese, dei disoccupati e della borghesia democratica fanno sintesi nel nuovo progetto politico democratico.Quindi crediamo nella nuova generazione giovanile che deve essere capace di dare quel contributo politico-culturale necessario affinchè il partito tutto possa fare quel salto in avanti per captare le esigenze delle nuove generazioni, ma è anche chiaro che, se a questo nuovo fermento, si contrappone una classe dirigente sorda e cieca che non vuole nè vedere nè sentire parlare del nuovo, è chiaro che il partito non sarà nuovo e democratico ma avrà fallito nel suo progetto di rinnovamento e avrà perso una delle più grandi sfide che si pone: la preparazione di una nuova classe dirigente pronta alle sfide del futuro!Credo, tuttavia, che il nuovo partito che si costituirà a ottobre avrà l'intelligenza di non disperdere il grande patrimonio in termini di freschezza, entusiasmo, modernità che i giovani possono dare non solo al partito ma tanto più al paese per rilanciare una società diversa, migliore, ricca di speranza e di futuro
Mario D’Asta

PARTITO DEL SUD: NECESSITA’ PER IL MERIDIONE O ENNESIMA OPERAZIONE DI POTERE?

In questo scorcio d’estate in cui il Mezzogiorno, per mostrare le sue straordinarie bellezze, si illumina con il cielo più terso ed il sole più limpido d’Italia, le voci insistenti della formazione di un Partito del Sud, tolgono la tranquillità ed il sonno, più dello scirocco che, di sera, soffia dall’Africa.
Chi è meridionale conosce quali sono davvero le politiche per il Sud. Sa molto bene che la soluzione non è nei soldi, oggetto di scambio, spesso, tra politica, mafie e clientele. La sicurezza, le strutture adeguate, i trasporti veloci ed i servizi efficienti sono invece i bisogni primari. I diritti e la legalità devono porsi come prioritari rispetto alla gestione arrogante e clientelare del territorio.
Chi è meridionale rifletta sui soldi sprecati per anni sulla “sanità” e sulla “formazione professionale”, due settori strategici in cui il governo siciliano ha mostrato non l’interesse per lo sviluppo della Sicilia, ma l’interesse dello sviluppo dei partiti che sono stati e stanno al governo regionale; chi è meridionale stenta ed avverta il bisogno della fiducia nelle funzioni dello Stato, perché siano sempre al servizio della legalità, perché sappiano dare giustizia con rapidità, senza sollevare polveroni che finiscono col nascondere le responsabilità, intorpidire le acque o favorire una parte politica.
Il Sud deve liberarsi dall’usura, dal pizzo e dall’abuso.
Bisogna essere chiari: il Partito del Sud nasce, se nasce, per chiedere danaro. Attorno all’idea si sono subito formate cordate, più o meno palesi, tra chi fiuta l’opportunità e chi mira a non essere escluso dal quadro politico attuale. Nell’un caso e nell’altro, non è una soluzione per il bene della nostra Regione e del Sud in genere E’ bene che si sappia, però, che la politica non è solo spesa e gestione, ma soluzioni, futuro, lungimiranza, prospettiva.
Per oltre 60 anni si è parlato di politiche per affrontare la questione della “centralità del mezzogiorno”. Questa “centralità” è stata tra gli obiettivi primari di quasi tutti i 66 governi italiani del dopoguerra . La Questione meridionale ha saturato la letteratura politica, sociale ed economica, come sosteneva Leonardo Sciascia: “Sappiamo bene che c'era già una Questione meridionale: ma sarebbe rimasta come una vaga leggenda nera dello Stato italiano, senza l'apporto degli scrittori meridionali”.
Niente è cambiato, però, da quello che “c’era già”: perché non è cambiato il modo di affrontare la "Questione".
Basterebbe riportare la contabilità dei costi di questa politica per il mezzogiorno e dimostrare che con la spesa sostenuta sarebbe stata assicurata una vita agiata a tante generazioni di meridionali. L’ultimo esempio:l’Ospedale di Agrigento, posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, con le strutture portanti di calcestruzzo realizzate con la sabbia.
Lombardo e Miccichè, anziché al Partito del Sud, pensino ora ai 1400 degenti che non si sa dove potranno essere diversamente dislocati oppure pensino al danno causato dall’ex assessore Incardona sulla formazione professionale che, creando nuovi centri do potere clientelari nelle provincie a lui vicine, ha lasciato migliaia di dipendenti di questo settore senza stipendio per 4 mesi e non è riuscito a fare una riforma da tanto attesa.
Pensino, inoltre ai tanti giovani che non hanno nessuna opportunità lavorativa e che sono costretti ad emigrare al nord o addirittura in altri paesi dell’Europa.
“La questione meridionale purtroppo resta sempre irrisolta”. Il divario tra nord e sud si è mantenuto, anzi, è cresciuto.
Occorre individuare i problemi e poi gli strumenti adatti per risolverli. L’Italia è un paese che funziona male, un paese che non cresce, con un basso tasso di occupazione, una rete welfare che non garantisce tutele, creando fenomeni di emarginazione femminile che in altri paesi europei non esistono. Siamo indietro su tutto.
E’ indispensabile affrontare la questione meridionale: oggi il Meridione è la regione europea più povera!Ma il Sud è veramente dimenticato? Parliamo di atti concreti: il Governo ha finanziato interventi strutturali in tutto il Paese togliendo 20 miliardi dai fondi che erano destinati allo sviluppo del Mezzogiorno. E dopo anni di stasi dovuti ai governi siciliani, in particolare agli ultimi due, il governo Cuffaro e quello Lombardo, adesso si stanno preoccupando di essere rimasti senza fondi e intendono proporre un partito, l’ennesimo, che tuteli il Sud. Ma ci chiediamo: come mai non ci hanno pensato prima? Come mai i deputati e senatori del Sud non hanno fatto a Roma gli interessi della nostra Regione, della loro Regione? Queste sono le domande a cui prima dovrebbero rispondere politicamente quei deputati del centro-destra che ieri ed oggi sono stati al governo siciliano illudendo i cittadini siciliani. Dopo 60 anni la situazione rimane sempre la stessa, irrisolta, senza nessun miglioramento, anzi, peggiorando sempre di più.
Si toglie al Sud per dare al Nord, e noi giovani siciliani, non possiamo più tollerare questo tipo di politica. Per esempio, troviamo nobile aiutare gli sfortunati terremoti dell’ Abruzzo, con scelte di solidarietà politica che devono caratterizzare il Paese in caso di gravi emergenze. Maperchè togliere i fondi proprio al sud e non al ricco nord? Risposta semplice: perché c’è un governo lega-centrico e una classe dirigente, che a prescindere dall’esistenza o meno di un partito inventato non riesce e difendere le istanze del SudIl problema degli investimenti è un altro nodo da sciogliere, un altro tema che evidenzia la fallimentare politica del governo berlusconi: il Sud è la parte d’Italia che attira meno capitali. Infrastrutture carenti, una burocrazia bizantina e la mafia che strangola gli appalti e chiede il pizzo. Si potrà uscire da questo tunnel? È il grande tema del Sud: creare tutte quelle condizioni e le infrastrutture per rendere le imprese competitive e attirare i capitali. Questo si risolve solo attraverso il cambiamento ed un inversione di marcia e per farlo bisogna anche puntare sulla ricerca, sulla scuola, sul welfare.La ricetta per il rilancio del Mezzogiorno, non è la creazione del partito del Sud , serve piuttosto tornare a fare una politica che abbia al centro le istanze meridionaliste, non ghettizzate ma all’interno del Sistema-Paese, all’interno di un’agenda politica nazionale; pensare al futuro dell’Italia intera, a come sarà fra vent’anni. Lo si faceva negli anni cinquanta e sessanta, mentre oggi si fa una politica a breve termine e clientelare.
Il governo Berlusconi dovrebbe iniziare a rendere centrale la questione meridionale e ancor di più la Sicilia,grosso bacino di voti per il PDL,ma che poi non ha avuto mai le risposte giuste. I siciliani sono stati sempre illusi!! Il Sud è un’area sottosviluppata e non ha mai avuto i fondi nazionali spettanti per coprire qualsiasi emergenza. Una vera spoliazione del Sud (14 miliardi in meno in un anno). Questi fondi mancanti al sud invece sono stati utilizzati da questo governo per coprire i tagli dell’Ici, per gli ammortizzatori sociali del nord, per l’edilizia scolastica e carceraria del nord, oltre alle grosse quantità di danaro distribuite in manovra per coprire i dissesti dei comuni di Roma e Catania. Questa gravissima situazione è stata lamentata anche dal Capo dello Stato Napolitano che ha richiamato duramente il governo accusandolo di forte discriminazione e anche l’attuale classe dirigente siciliana che ha approfittato della situazione per curare i propri interessi.
Così, dopo questo appello del Capo dello Stato, Berlusconi e Tremonti pensano di risolvere i problemi del meridione attraverso la ricostituzione della “Cassa del Mezzoggiorno” tornando indietro di 50 anni e, ancor peggio, accentrando il potere di gestione dei fondi a Roma. (In poche parole i soldi siciliani vengono gestiti direttamente dal Governo a Roma). Assistiamo, quindi, all’ennesima discriminazione, mentre al nord la classe dirigente si autogoverna e gestisce flussi di cassa, il sud viene marginalizzato nel ruolo squisitamente amministrativo del giorno per giorno.
Valentina Spata

DIBATTITO ATTIVO CONTRO IL PESO DEL REATTIVO DI DOMANI

Nucleare in Sicilia: dilemma che ha avviato un dibattito in Provincia di Ragusa.
Mentre negli USA il Presidente Barak Obama taglia gli incentivi all’atomo e punta sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili e in Germania una legge vieta la costruzione di nuove centrali, la nostra Sicilia è stata candidata tacitamente ad ospitare una delle quattro centrali nucleari con tecnologia francese, a seguito dell’accordo siglato il 24 febbraio c.a. tra il Capo del Governo italiano e il Presidente francese Sarkozy. L’accordo coinvolge direttamente diverse aziende leader del nucleare, infatti, per la realizzazione del reattore di ultima generazione Erp da 1700 megawatt che dovrebbe moltiplicarsi in quattro impiianti, sarà istituito un consorzio tra l’Ansaldo Energia, l’Enel e l’ente francese Edf: partnership dell’operazione.
Sarebbe lecito domandarsi il perché da regioni come la Puglia, la Calabria e perfino dalla stessa Sardegna, giungono dei “NO” secchi e categorici contro il nucleare, mentre in Sicilia si osa discutere sulla questione. Secondo una fonte rilanciata dal quotidiano La Repubblica del 25 febbraio c.a. l’impianto siciliano potrebbe essere istallato nel territorio sud-orientale ed è stata segnalata, in particolare, la provincia di Ragusa.
Si può intuire benissimo che queste individuazioni non hanno tenuto minimamente conto dei fattori geotermici che caratterizzano la nostra terra ad alto rischio sismico, visto che proprio l’area in questione è classificata “zona rossa” nella mappa nazionale dei sismi. Forse questi siti sono stati facilmente individuati da chi non li abita, non li conosce e non ha intenzione di farlo neanche in futuro. Ma è lecito anche chiedersi il perché sia stata scelta proprio la nostra bella isola, zona in cui il sole di certo non manca. Regione sostanzialmente agricola in cui i due terzi degli abitanti vivono ancora dei prodotti della Terra, del Sole, del Mare: beni essenziali che in ogni tempo abbiamo cercato di tutelare, perché il popolo ha sempre confidato nella ricchezza della nostra “Terra”. Dove è finito il senso di precauzione di fronte ai rischi delle scorie radioattive? E’ risaputo che l’energia nucleare (prodotta da una centrale) è una forma di energia che nasce dalla disintegrazione di elementi radioattivi, come l’uranio. Infatti, la quantità di energia fornita dalla fissione di 1 grammo di U ( reazione che avviene attraverso lo scontro tra un neurone e un atomo di un elemento fissile) è equivalente a quella ottenuta dalla combustione di circa 2,5 tonnellate di carbone. Questo processo, di certo, determina la notevole riduzione di una materia prima “ non rinnovabile” come il carbone, ma, l’attività di fissione di una centrale nucleare produce un’enorme quantità di scorie di “terzo grado” ( ad alta reattività) che possono richiedere anche 100000 anni per abbassare il loro livello di pericolosità. In casi gravi, la radioattività può assumere la forma di una nube tossica e spargersi per molti kilometri intorno alla centrale, oppure concretizzarsi in sversamenti di materiale radioattivo in fiumi, laghi e tratti di costa, causando danni irreversibili all’ambiente e agli esseri viventi che lo popolano e che lo popoleranno nei decenni futuri. Non vogliamo creare allarmismi inutili, quando si parla di progresso tecnologico e di sviluppo di una splendida e vigorosa nella quale possono essere sereni e senza rischi. Le reazioni alla notizia del nucleare nella nostra provincia sono state molteplici, ma quasi tutte hanno vestito un’unica voce: la voce del No.
Noi Giovani Democratici di Ragusa abbiamo subito espresso il nostro dissenso alla proposta, spiegando che la provincia con i suoi impianti di energia alternativa riesce ad avere una piena autosufficienza energetica, che pertanto, non ha alcun bisogno d’essere supportata dall’onere di una centrale nucleare. Anzi bisogna pensare alle fonti rinnovabili.
Gli effetti dell’impianto sono numerosi: bisogna considerare anche l’enorme spreco di acqua che servirebbe per il raffreddamento del nocciolo della centrale, poiché di fatto è accertato che un impianto di 1000 MW richiede un consumo di risorse idriche equivalente circa ad un terzo dell’acqua che scorre nel fiume Po.
Noi, ad esempio a Marina di Ragusa che nelle stagioni estive dobbiamo fronteggiare il problema idrico, dove prenderemo tutta questa quantità di acqua?
Ma quello che ci chiediamo seriamente è perché questo governo non ha rispettato la volontà dei cittadini italiani che in passato hanno votato NO al nucleare attraverso un referendum (1987)? Inoltre, il Sindaco Dipasquale come può lanciare l’idea di un referendum regionale che faccia decidere i cittadini se accettare o meno le centrali nucleari in Sicilia se il suo stesso partito, il PDL, a Roma ha votato SI per le centrali nucleari? C’è un po’ di contraddizione in tutto ciò. La Politica siciliana e locale deve essere fatta anche con la concertazione di deputati e senatori a Roma, votati da noi cittadini, che devono fare gli interessi di tutto il paese.
E’ NECESSARIO CHE NOI SICILIANI, FRUITORI DELLE NOSTRE TERRE, POSSIAMO ESPRIMERE IL NOSTRO PARERE SULL’INSTALLAZIONE DI QUESTI IMPIANTI, ANCHE PERCHE’ SUBIREMO LE CONSEGUENZE DI QUESTO IPOTETICO PROVVEDIMENTO. CONSEGUENZE CHE GRAVERANNO SOPRATTUTTO SULLA NOSTRA SALUTE PERCHE’ SAREMO COSTRETTI A SORREGGERE IL DETURPAMENTO DI QUELLE TERRE CHE TANTO GELOSAMENTE AMIAMO E CHE VORREMMO PRESERVARE PER SEMPRE, CUSTODENDO QUELL’INFINITA BELLEZZA CHE SOPRATTUTTO NOI GIOVANI DOVREMMO APPREZZARE E TUTELARE CON COSTANTE RIGUARDO.
Placido De Salvo

I GIOVANI DEMOCRATICI A SOSTEGNO DI UNA SCUOLA VISTA COME INVESTIMENTO E NON COME UNA VOCE DI SPESA.

Da mesi sosteniamo che l’obiettivo vero del Ministro Gelmini è distruggere la scuola pubblica per far posto a quella privata.
Tra quelle che il Ministro definisce riforme, vi è pure “un sostegno economico per chi studia nelle paritarie”. Le risorse da dare alle scuole paritarie sarebbero recuperate dai tagli alle scuole pubbliche, violentando la nostra Costituzione.
Non si possono utilizzare strumentalmente i dati OCSE, che peraltro dimostrano come le politiche di questo Governo si muovono in direzione opposta rispetto ad un miglioramento della qualità negli apprendimenti, per sostenere che bisogna favorire le scuole private.
La conferma del taglio operato nella scuola primaria di 1.492 posti creerà difficoltà di rilievo nell’organizzazione della didattica e smantellerà un settore formativo che è ritenuto tra i migliori in Europa.
Tra l’altro, i dati presentati mostrano una forte discrepanza tra quanto richiesto dalle famiglie ragusane e quanto concesso dall’Amministrazione Di Pasquale: viene negato il tempo scuola di 30 ore all’80% delle famiglie che lo hanno richiesto e non vengono accolte le istanze di 1.284 famiglie che chiedevano il tempo pieno.
L’incremento di 2 alunni per classe, la riduzione del tempo scuola, l’eliminazione delle compresenze, impoveriranno ulteriormente l’offerta formativa nel nostro territorio, comporteranno una condizione di soprannumero diffuso e l’espulsione dei precari dalla scuola.
A Ragusa gli effetti a regime sugli organici degli insegnanti portano ad un taglio di 76 posti per la scuola d’infanzia e 108 posti nella scuola primaria; per quanto riguarda la scuola media saranno di 109 e per la scuola superiore saranno di 126. Per un totale di 420 docenti e di 282 personale ATA.
Inoltre, sempre nella nostra città, le scuole a rischio di accorpamento secondo le nuove misure legislative sono la Scuola Elementare M. Schininà, la scuola elementare G. Rodari, l’I.P.S.S.C.T. di piazza Carmine, l’istituto superiore Ettore Majorana e la scuola media Quasimodo.
“La scuola rappresenta un enorme valore sociale e culturale, non può essere tagliata applicando criteri di produttività, soprattutto nelle piccole comunità dove il danno sarebbe ancora maggiore, significherebbe ridurre concretamente la possibilità di viverci”.
Noi Giovani Democratici di Ragusa sulla scuola andiamo esattamente nella direzione opposta, con sforzi di fantasia e di novità, pensando che al posto dei tagli è necessaria l’autonomia di questa istituzione, cercando di portare l’85% dei ragazzi al diploma e di promuovere una scuola aperta alla comunità ed integrata con il territorio.
Secondo noi, all’interno della scuola stessa andrebbero avviati alcuni progetti tra loro in stretta relazione che poggino su chiari obiettivi visibili, condivisi e riconosciuti da tutte le parti (politici, genitori, insegnanti) sui temi fondamentali del momento, con sperimentazioni, sviluppo di scenari al passo con i tempi.
Una rete di ricerca-azione potrebbe essere attivata sul territorio con il concorso della futura alta scuola pedagogica che non deve rimanere un’entità isolata, ma che deve far capo e soprattutto valorizzare le sperimentazioni e le pratiche sul territorio, rispondendo efficacemente in modo diversificato e rispettoso dei bisogni dell’utenza.
Per affrontare le nuove sfide con i crescenti problemi di disadattamento, di violenza e di estrema eterogeneità della società e conseguentemente tra gli allievi vanno studiate e messe in atto nuove misure, alleggeriti alcuni settori ed introdotte possibilità di consulenza ai docenti. Tali provvedimenti associati alla professionalità ed all’impegno del corpo insegnante insieme a nuovi strumenti, quali aule multimediali, aule lingue ed altri ancora, dovrebbero rilanciare le nostre scuole verso nuovi traguardi.
Giuseppe Albora

ECONOMIA E SVILUPPO: LA CRISI DELLA NOSTRA AGRICOLTURA

Economia e sviluppo: la crisi della nostra agricoltura
L’Agricoltura rimane il settore più importante dell’economia della nostra provincia; soffre di una crisi strutturale dovuta a un’organizzazione polverizzata delle aziende (in massima parte a conduzione familiare) e a una catena distributiva del prodotto non controllata dal produttore, il quale è totalmente dipendente dalla domanda (commercianti e grossisti) e non ha nessuna influenza sulla determinazione del prezzo finale al consumatore. Tale situazione interessa la stragrande maggioranza dei produttori.
È da rilevare che esistono delle eccezioni: da un lato piccoli produttori che sono riusciti a creare un prodotto di qualità (prodotto di nicchia) e a venderlo direttamente al commerciante finale (saltando la catena mercato locale – grossista – commerciante finale); dall’altro lato aziende di medie dimensioni che hanno creato una propria filiera (produzione, confezionamento, trasporto al commerciante finale) con sbocchi commerciali anche all’estero. Tali realtà riescono ancora a mantenere una certa competitività e a rimanere sul mercato, benché alcuni cominciano ad accusare problemi.
Ciò determina da un lato una bassa remunerazione nella vendita e dall’altro la poca concorrenzialità del prodotto. Nel contempo non esistono politiche di “marketing”, di controllo della qualità e della quantità della produzione, di analisi dei mercati.
L’affacciarsi di nuovi competitori (nord-africa, Cina, Turchia, ecc.) sul mercato nazionale e internazionale, l’acuirsi del “dumping” (prodotti con bassissimi costi di produzione da Cina, Turchia, ecc.), la politica scellerata dei governi nazionali che favorisce le esportazioni di prodotti industriali e le importazioni di prodotti agricoli da alcuni stati esteri (Marocco, Tunisia, Turchia, ecc.), stanno causando una forte perdita di quote di mercato se non una vera e propria messa “fuori mercato” dei prodotti nostrani.
Tutti questi fattori stanno portando l’economia legata all’Agricoltura e al suo indotto ad un ridimensionamento produttivo e occupazionale. Sono quindi necessarie tutta una serie di misure locali e nazionali che risolvano le varie problematiche, unite a una riorganizzazione dell’intero settore.

Andrea Caruso

OPERA PIA RAGUSA IBLA: solo promesse fantasma ai dipendenti

OPERA PIA RAGUSA IBLA: solo promesse fantasma ai dipendenti.

Cari amici,snoccioliamo subito un po’ di numeri per capirci meglio:
v 10 sono gli anni che Valeria Vittoria, Nello Ferrera e Rosa Cabibbo
hanno trascorso insieme lavorando nella struttura “Opera Pia Casa di Ospitalità Iblea”di Ragusa-Ibla;
v 15 sono gli anziani , molti dei quali da ben 20 anni ivi risiedenti, sbattuti fuori dalla loro casa come se fossero dei semplici pacchi postali;
v 11 sono i dipendenti OSA precari che a tutt’oggi aspettano di ricevere il loro compenso economico;
v 2 sono gli anni di lavoro prestati gratuitamente dai dipendenti ;
v Tanti sono i mancati rinnovi dei contratti dei dipendenti che dovevano essere stabilizzati;
v 0 sono le aspettative future prospettate alla data odierna per tutte queste persone che dai vari politici di turno avevano ricevuto tante speranze di stabilizzazione;
Chi sono i responsabili di un tale dissesto economico ( € 784.000,000!!) che ha impedito ai dipendenti dell’Opera Pia di lavorare serenamente ed essere pagati regolarmente?
Come è possibile che il nostro Sindaco non abbia avuto nessuna remora nel chiudere la porta dell’Opera Pia senza pensare un solo istante alla possibili conseguenze negative del trasferimento per esseri tanto fragili e indifesi come questi anziani (9 dei quali sono indigenti e vivono solo del sussidio del Comune) ??
Se i Signori Consiglieri e Assessori di turno hanno pensato bene di sistemare prima le loro famiglie (mogli, figli annessi e connessi ), dopo essersi fatti eleggere con le “solite promesse fantasma” (dichiarazioni dei dipendenti stessi) forse adesso è arrivato il momento che si interessino coscienziosamente alla stabilizzazione di questi uomini e donne che negli anni hanno sofferto (due anni senza percepire il becco di un quattrino!!) e lavorato per la cura e la gestione della “Casa di Ospitalità Iblea” e dei suoi fragili abitanti!!
Nel mese di gennaio la UIL-FEL era stata tra i promotori di un piano di rientro e di rilancio dell’Opera Pia e sembrava che il relativo Decreto dovesse essere pubblicato sulla Gazzetta in breve tempo. Ma il risultato è stato un lungo silenzio rotto dai diretti interessati che, dopo aver dichiarato nei mesi precedenti lo sciopero della fame adesso, non intendono più credere ad assicurazioni e promesse e che a fronte delle spettanze dovute chiedono il pignoramento del primo piano nobiliare della struttura di Ibla.

Se si prospetterà il rilancio di un nuovo Ente al posto dell’attuale che almeno si abbia la decenza di stabilizzare coloro i quali da anni contribuiscono silenziosamente alla cura dei nostri anziani.

Sofia Frasca

SCIOPERO A RAGUSA DEI DIPENDENTI DEL "MERCATONE EUROPA"

SCIOPERO A RAGUSA DEI DIPENDENTI DEL “MERCATONE EUROPA”.

Un presidio di 13 lavoratori ha manifestato all'interno dell’area del mercatone.
Si tratta della vicenda del “Mercatone Europa”, situato in contrada Gilestra a Ragusa ( strada per santa croce camerina). I dipendenti, che iniziavano il lavoro con il turno di mattina, senza alcun preavviso, hanno trovato, sorpresi, il Mercatone chiuso.
Nessuno li ha avvertiti e nel chiedere spiegazioni alla Direzione della struttura, veniva loro detto che il “Mercatone Europa” ha chiuso per un presunto fallimento.
I dipendenti, rimasti senza parole ma soprattutto senza lavoro, hanno quindi deciso di rimanere nel parcheggio della struttura e proclamare lo stato di agitazione.Questa vicenda non può essere sottovalutata, in quanto, non solo sono stati calpestati i diritti e la dignità dei lavoratori ma si sono creati enormi disagi a partire dalla perdita del lavoro e quindi dell’instabilità morale ed economica di molte famiglie ragusane.
Noi Giovani Democratici ci batteremo insieme ai dipendenti ed insieme al prefetto, il Presidente della Provincia, il Sindaco di Ragusa, la Digos e le altre Autorità Istituzionali che, già si stanno interessando, affinché si faccia luce su quanto accaduto e in modo tale da spingere la direzione del «Mercatone Europa» a tornare sui suoi passi oppure a risarcire ai dipendenti i danni subiti.
La Costituzione Italiana all’art. 1 dichiara che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” ed in alcuni articoli del titolo III dichiara che il lavoro deve essere tutelato (donne, formazione retribuzione, ferie ecc..), quindi non è ammissibile che la direzione di una grande struttura come il Mercatone decide all’improvviso senza nessun avviso di chiudere e lasciare in mezzo ad una strada tante persone che fino ad una settimana fa si sono impegnate dando il loro contributo alla crescita e allo sviluppo dell’azienda in questione.
I diritti dei lavoratori devono essere rispettati, bisognava avvisarli almeno 1 mese prima, in modo tale da garantire loro la possibilità di trovare un altro posto di lavoro.
Pertanto, noi Giovani Democratici, chiediamo a questa amministrazione comunale e provinciale e al prefetto di garantire ai dipendenti un risarcimento di danni morali ed economici e soprattutto di indagare sulla regolarità dei contratti dei dipendenti stessi.
Nel frattempo i lavoratori hanno espresso la volontà di non arrendersi e di continuare questa battaglia per ottenere i loro diritti e per contrastare questa ignobile chiusura.
Noi Giovani Democratici ci facciamo interpreti della richiesta di fissare un incontro con i sindacati in modo tale da risolvere la situazione e di trovare una tutela e garanzia del posto di lavoro di chi lo perde in questo modo.

Irene Sittinieri