martedì 2 dicembre 2008

PROGETTO DISABILITA': "LO SO CHE CI SEI"



“Non più e non solo dichiarare i diritti delle persone con disabilità ma esigerli; non più e non solo superamento delle barriere architettoniche ma innanzitutto di quelle culturali”: questa è la sintesi della mia posizione.“L’impegno dei governi, a qualsiasi livello è di rendere esigibili tali diritti, creando le condizioni culturali e sociali per costruire pari opportunità. Vale a dire che le politiche per le persone con disabilità devono essere pensate e realizzate all’interno delle politiche generali, rivolte a tutti i cittadini, creando le condizioni di parità e di risposta alle esigenze specifiche delle persone con disabilità. Ad esempio nella costruzione degli edifici non si deve più parlare di eliminazione delle barriere architettoniche; ma è necessario progettare e realizzare edifici accessibili a tutti, anche alle persone che temporaneamente o stabilmente si trovano nella condizione di disabilità.
Le prime barriere che portano all’esclusione sociale e alla discriminazione sono innanzitutto le barriere culturali. Ne consegue allora che l’integrazione sociale si realizza attraverso interventi finalizzati a eliminare la discriminazione sociale, a incentivare le azioni positive, favorendo in tutti i modi la partecipazione attiva delle persone ai processi e ai percorsi di cui loro stessi sono i primi destinatari”.
Il tema sulla disabilità e sul disagio sociale è vasto e complesso, per non dire delicato, ma noi insieme dobbiamo creare un progetto volto a garantire i diritti dei disabili e volto sopratuttoalla sensibilizzazione del tema in questione. Quindi dobbiamo occuparci di sviluppare alcuni punti fondamentali ed essenziali creando un progetto specifico. Un progetto che potremmo chiamare "Lo so chi ci sei"....:
1. Disabilità adulta e nascosta: gli obiettivi del progettoIl percorso del progetto "Lo so che ci sei" deve proporre un metodo e un percorsodi buona prassi per rilevare il disagio sommerso. Il suo principale obiettivo èquello di condurre e produrre un cambiamento, nel significato di “educare”,ovvero stimolare una riflessione, incidere concretamente sul disagio esistente eattivare pratiche di intervento innovative.
2. Rafforzare il volontariato, le sue “competenze” e il suo ruolo.Un primo obiettivo del progetto va nella direzione di rafforzare ilvolontariato, partendo dall'assunto che soltanto un volontariato competente,formato e consapevole del proprio ruolo, delle proprie possibilità e dei proprilimiti, sia davvero capace di interventi efficaci e proficui.Il volontariato maturo é infatti collaborativo e capace di interagire inmodo costruttivo con i Servizi, evitando di cadere nell'erroredell'autoreferenzialità, interagendo con gli operatori degli enti titolari dei servizisociali e sanitari, nei confronti dei quali assumere un ruolo il più possibilecomplementare e il meno possibile di sostituzione.Affinché la collaborazione sia positiva ed efficace dev'esserci unaconoscenza stretta e propositiva, al di là di ogni possibile divergenza, anche tra ivolontari delle diverse realtà di un medesimo territorio, capaci di unirsi peraffrontare un problema comune.
3. Ragionare sui bisogni della disabilità e delle loro famiglieUn secondo obiettivo specifico del progetto é quello di esaminare lasituazione del disagio vissuto da persone e famiglie con figli disabili. Questosignifica ragionare su vissuti, sentimenti di vergogna e di colpa, depressione,frustrazione e rabbia che possono accompagnare, nei diversi momenti delproprio percorso di vita, le persone disabili e i loro famigliari.Occorre concentrare l'attenzione anche sugli aspetti specificidell'interazione con la società, a partire dall'infanzia fino alla scuola eall'inserimento possibile nel mondo del lavoro, conoscendo i vari bisogni cheemergono nei diversi momenti.Si ha la necessità di soddisfare bisogni di diverso tipo e che si possonodisporre in scala gerarchica, in ordine di importanza “crescente”: bisogni- fisiologici (alimentazione, vestiario) bisogni di sicurezza (integrità,- salute) bisogni sociali (relazione, affetti)- bisogni di stima- (competenza, approvazione, riconoscimento) bisogni cognitivi (studio,- comprensione della realtà, pensiero) bisogni estetici (ordine,- bellezza) bisogni di autorealizzazione (soddisfazione, sviluppo di- sé)La conoscenza e la progettazione su un soggetto sociale deve partire daun'iniziale fotografia dei suoi bisogni, e tale “scala” può essere uno strumentoadeguato quale base di partenza.Il volontario deve comprendere la difficoltà nell’esternare i bisogni e ledifferenze che possono esistere nelle persone disabili, per capire i quali ènecessario un atteggiamento particolare, come riporta questa esperienza daparte di altri volontari :“…non si chiede ad un disabile, soprattutto mentale, cosa desidera, quali sonole sue aspettative, dove vuole andare, cosa vuole fare, chi vuole incontrare:spesso si pensa implicitamente che un handicappato non possa sapere cosavuole, occorre che altri glielo spieghino. Non stupisce che ne derivino processidi infantilizzazione, che fanno regredire a stadi di capriccio o diaccondiscendenza passiva.”Comprendere i vissuti e essere capaci di interagire in modo proficuo non é uncompito facile, ma allo stesso tempo é un obiettivo al quale ci si può avvicinare.
4. Favorire una relazione tra territorio e persone con disabilitàUn terzo obiettivo é quello di facilitare e rendere possibile la nascita direlazioni tra i volontari di associazioni diverse di uno stesso territorio, iservizi sociali e i destinatari dei servizi, affrontando un problema comune che li riguarda tutti, in quanto cittadini che abitano e condividono gli stessi spazi e gli stessi luoghi.La relazione deve nascere inoltre tra i volontari e i disabili e i lorofamigliari. Appare una sfida oggi particolarmente difficile e quindi tanto piùurgente, considerando la tendenza delle persone a occupare il tempo liberoall'interno delle proprie abitazioni e a prestare una notevole attenzione alla“difesa” della propria privacy. Le relazioni sul territorio sono peraltro in rapidatrasformazione, come testimonia la scarsa importanza assunta dai legami diprossimità, per cui oggi é “normale” instaurare relazioni che non tengono contodello spazio e delle distanze.Le relazioni di vicinato, nondimeno, rivestono una notevole importanzaper le stesse pratiche di cura e la loro assenza si ripercuote soprattutto sullefasce più deboli della popolazione: “le modalità della convivenza sono cambiate,le persone instaurano legami sociali a distanza, basati sulla condivisione di idealied esperienze piuttosto che sulla contiguità spaziale e sui contatti di quartiere equesto pone i soggetti più deboli ulteriormente ai margini della società e dellavita di relazione nella comunità........ Il territorio rappresenta sia il luogo diintervento per un'ipotetica azione risocializzante, sia un contenitore di risorsenaturali che possono essere attivate al fine di mantenere l'utente nella propriarete di appartenenza e fare in modo che da questa venga positivamentesostenuto” .Pensare alle comunità locali come promotrici di benessere significaperaltro affrontare il concetto stesso di comunità, per molti ormai desueto einapplicabile:“Assistiamo oggi ad un generale depotenziamento delle reti fondate sullacondivisione e sulla prossimità territoriale e lavorativa, mentre sopravanzano lereti caratterizzate dalla complementarietà. Il più delle volte ci troviamo a fare i conti con un contesto in cui è prevalente la cultura del frammento e della separazione: il territorio non esprime una cultura di comunità, non é vissuto e non si manifesta come soggetto collettivo.Inoltre, il territorio non esprime un'unica comunità indistinta, ma esistono lesotto comunità o delle comunità di settore che vanno dalla famiglia,all'associazione di volontariato, al condominio, alla parrocchia, all'impresaartigiana, all'azienda, al servizio del territorio, ecc. L'obiettivo da perseguire appare essere quindi quello di favorire, laddove possibile, la nascita di una “rete” fatta da persone che vivono sul territorio, capace di interagire tra loro, vedere e conoscere il proprio contesto, per dare risposte tempestive alle diverse forme di disagio, immediatamente visibili onascoste.Favorire la nascita della relazione significa essere sicuri che i volontariabbiano una “preparazione”, una forma mentis - intesa soprattutto comecapacità di ascoltare - tale da permettere di accogliere e comprendere appieno idisagi e i vissuti delle famiglie, ed instaurare una valida relazione di vicinato o diprossimità.
5. Quantificare i numeri della disabilitàL'obiettivo di conoscere i numeri del disagio nascosto é certamentesecondario nel progetto; nondimeno, i dati raccolti possono fornirecertamente utili indicazioni da un punto di vista quantitativo.Si propone di scrivere “nero su bianco” le situazioni di disagioconosciute in ciascun territorio, quale modalità, in primo luogo, capace diattivare un percorso di riflessione e di crescita (empowerment) del volontariatostesso. Allo stesso tempo, tuttavia, le informazioni raccolte sul disagio possonoessere aggregate e diventare un modo per ottenere indicazioni di più ampioraggio.Sintetizzando i dati, anonimi e in forma aggregata, si ottengono prezioseinformazioni circa la qualità della vita e sulle situazioni familiari più a rischio,capaci di instaurare una relazione di aiuto. I dati più rappresentativi ed esaustividi alcuni Comuni possono anche permetterci di proporre stime indicative ad unlivello più ampio.Le disabilità e le situazioni di disagio che restano nascoste oggi scontano ilproblema di non essere facilmente quantificabili e di essere quindi soggette avalutazioni prevalentemente qualitative. Si tratta, comprensibilmente, di unarilevante carenza nell'ottica di predisporre i servizi sul territorio, poiché non siconosce il numero complessivo di disabili né tantomeno un'opportunasuddivisione per fasce di età, per Comune di residenza o per tipologia di disagio.Risultano inoltre assenti i numeri per ragionare sui vissuti quotidiani e su altreproblematiche, che i disabili e loro famiglie devono affrontare.L'assenza di dati certi nel settore delle disabilità é tuttavia un problemanoto da molti anni e riguarda l'intero territorio nazionale. Recentemente l'ISTATha cercato di affrontare l'argomento con un'indagine specifica. I risultati su scalanazionale sono tuttavia poco interessanti, poiché attualmente le informazionidesumibili dalle certificazioni non sono utilizzabili per vari motivi, quali lacomplessità della materia di cui si tratta, l'assenza di coordinamento nelterritorio, la non uniformità delle definizioni utilizzate, l'assenza diinformatizzazione di dati e, più in generale, di un progetto di analisi e di utilizzodegli stessi. La grande maggioranza delle certificazioni, infatti, é solo susupporto cartaceo, ed é perciò impossibile fare analisi e approfondimenti suidati.
6. Far emergere e denunciare il disagio nascostoUn altro obiettivo del progetto potrebbe essere quello di lavorare per l'emersione deldisagio “nascosto”, ovvero sulle situazioni di persone, disabili e famiglie, chevivono in solitudine la disabilità.Il numero di situazioni poco conosciute, sia da parte dei Servizi masoprattutto da parte dei cittadini, a partire talvolta dagli stessi vicini di casa,appare essere relativamente elevato. In molti casi le famiglie che convivono conil disagio si sono “chiuse”, per effetto di un graduale processo che le ha portatead isolarsi e a concentrare l'attenzione nella convivenza con la persona che viveil disagio, come può essere il figlio disabile. La compresenza di sentimenti divergogna, di sensi di colpa, frustrazione e rabbia, unitamente all'assenza diopportunità concrete per un’integrazione sociale soddisfacente, sono all'originedi un atteggiamento che rende difficile costruire relazioni significative da partedelle famiglie.Nel caso delle persone disabili, esse vivono per la maggior parte della lorovita seguite dai servizi sociali e sanitari competenti, anche se una parte nontrascurabile vive il proprio disagio in solitudine, seguita in modo insufficiente ein qualche modo, per dirla con le parole stesse di alcuni famigliari, “dimenticatidalla società”, ovvero dai servizi e dalla società civile, dai concittadini, daicompaesani.Tali considerazioni sono confermate da altre esperienze: “Il temafondamentale che caratterizza le biografie di soggetti in condizione di gravemarginalità è il contesto di abbandono. Questa caratterizzazione trova duedirezioni, la prima è rivolta alle dinamiche relazionali, mentre la seconda fariferimento alla percezione che il soggetto ha di se stesso” . Il percorso di progressivo isolamento può essere lento e comincia “quandoi ragazzi disabili terminano la loro presenza nel sistema dell’obbligo scolastico,dopodiché si pongono significativi problemi legati alla qualità della loro vitarelazionale e sociale, dalla gestione della quotidianità alla ricerca di fruizione dispazi di vita più sociali (come l’andare al mercato, in un locale pubblico, in unnegozio, ecc.). Tutto tende a ricadere sui genitori, e in particolare sulla madre,limitando potenzialità, sovraccaricando persone, rischiando di portare allarichiusura e all’isolamento microsistemi familiari.Questo riguarda sia le disabilità dalla nascita sia le forme di disagioacquisite nel corso della vita, quali possono essere le disabilità dovute ad unevento traumatico, come conseguenza, ad esempio, del verificarsi di unincidente automobilistico o sul lavoro:“Chi è stato sano e poi diventa 'meno abile' si percepisce finito. Il veniremeno dell’efficienza del corpo in una società come la nostra è drammatico.Queste disabilità sono tra quelle forse meno visibili sul territorio, menomanifeste, proprio perché subentrano in età giovanile, adulta o anziana, e chine è toccato è anche al di fuori dai circuiti che favoriscono o forzano unarelazionalità, quali ad esempio quelli scolastici.Chi ha un handicap che sopraggiunge in età giovanile o adulta pervieneai servizi specialistici della riabilitazione seguendo strade più individuali, eanche la sua fruizione di questi servizi è di tipo individuale, spesso isolata dacircuiti relazionali. Il rapporto con i servizi sociali è spesso di tipo funzionale,per il fatto che chi ha malattie o traumi invalidanti in genere vi si rivolge perottenere sussidi o per motivi normativi e la relazione rischia di fermarsi suquesto.Così, alla riposta tecnica o tecnico riabilitativa, in molti casi anchemolto avanzata, corrispondono spesso molti percorsi affrontati in solitudine diricostruzione di una nuova prospettiva di vita affettiva, sociale, lavorativa.Anche la disabilità legata alla malattia mentale fa fatica a manifestarsisul territorio. Resta chiusa dentro i circuiti della famiglia o dei servizispecialistici. Dimensioni quali la vergogna, lo stigma, la paura di noncontrollabilitàdelle situazioni giocano ancora un ruolo forte nel renderedifficile il vivere queste disabilità entro circuiti più relazionali.”.Rilevare le disabilità “nascoste” di tipo fisico e mentale sul proprioterritorio può allora essere il primo passo da compiere per far uscire allo“scoperto” situazioni di solitudine e di isolamento, proprie di quelle persone chevivono un disagio e delle loro famiglie.
7. Preparare al “dopo di noi”Un ultimo obiettivo specifico é quello di sensibilizzare sul tema dell'inevitabile separazione del figlio disabile dai propri genitori. Questo evento dev'essere vissuto con serenità, ed affinché sia il meno possibile traumatico, occorre una preparazione che deve avvenirenecessariamente quando i genitori sono ancora vivi, “durante il noi”.Il tema é sempre più attuale in quanto, oggi più che un tempo, un numerosempre maggiore di disabili raggiunge l’età adulta e anche la vecchiaia. Questosignifica “l’individuazione di un problema: il 'dopo di noi', che riguarda la vita diun soggetto sopravvissuto ai genitori. Un problema, o un tema, che nondovrebbe essere affrontato improvvisamente, al momento della perditaparentale. Questa prospettiva ha bisogno di essere confortata lungo tutto unpercorso che veda la possibilità di avere e valorizzare una rete sociale attiva,non solo spontanea o spontaneista ma anche professionale, tale da permetteredi prospettare un percorso per tutta la vita, attivando delle attenzioni in questaprospettiva”.Ragionare sul 'dopo di noi' significa allora porsi l'obiettivo di effettuare unintervento di 'prevenzione secondaria', agendo sulle reti di vicinato: “I membridelle reti vivono in effetti una permanenza nel tempo e una prossimità fisica eaffettiva che permette loro di percepire i sintomi ben prima degli operatori e dicollaborare con essi. l'operatore dovrà identificare le situazioni a rischio elavorare con le reti su tre registri:-sensibilizzare le reti in merito ai rischi e ai pericoli presenti;-far maturare il loro senso di responsabilità nei confronti di tali rischi epericoli;-far emergere una vigilanza collettiva.Anche in questo caso, quindi, le reti di vicinato e di prossimità hanno un'importanza particolare, poiché si chiama in causa la loro competenza cheproviene dalla loro stabilità e permanenza nello stesso ambiente delle personein difficoltà” .
Non dimentichiaoci, inoltre, che è importante fare l'analisi per l’integrazione dei servizi volti alla prevenzione o alla riduzione del disagio sociale dei giovani utenti del sistema dell’istruzione e della formazione. IBisogna coinvolgere istituti scolastici e centri di formazione differenti, avendo come primo obiettivo l’analisi della situazione esistente sul territorio, caratterizzato dalla presenza di numerose iniziative relative a questi temi, condotte però in maniera non integrata e quindi con un elevato rischio di spreco di risorse e di mancata patrimonializzazione dei risultati,ma devono essere realizzate con metodologie affini, in maniera da garantire la condivisione dei risultati, anche attraverso tavoli di confronto periodici coordinati, tra i servizi sociali e le istituzioni coinvolte. Le aree tematiche potrebbero essere in riferimento ai seguenti campi d’azione:- orientamento-riorientamento-dispersione;- stranieri (accoglienza e processi inclusivi);- il disagio giovanile;- la scuola aperta.


Valentina Spata

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