La richiesta d'arresto di un deputato in Basilicata, per presunte tangenti legate al petrolio, l'arresto del sindaco di Pescara per il sospetto di tangenti sugli appalti. Dopo i casi di Napoli e Firenze, sul Pd l'onda giudiziaria cresce e anche se bisogna ripetere come sempre che dobbiamo attendere i risultati dell'inchiesta prima di formulare giudizi, questo è il momento di afferrare quel partito per i capelli, prima che affondi. Nessuno può pensare, onestamente, che il Pd sia un rifugio di faccendieri. Ma non c'è alcun dubbio che se nel Paese il problema della corruzione è riesploso, nel confine critico tra la politica e gli affari, i Democratici si mostrano oggi vulnerabili e permeabili al malcostume nella loro periferia assessorile, mentre le speranze e le attese che accompagnarono la nascita del Pd erano ben diverse. Scricchiolano entrambi gli elementi della coppia con cui il Pd presentò la sua novità: la moralità pubblica, l'innovazione politica. È difficile infatti non legare le notizie che arrivano dalle Procure con la débacle elettorale in Abruzzo, e soprattutto con l'astensionismo di sinistra che l'ha preparata, dando spazio solo a Di Pietro, ambiguo alleato-concorrente.
L'unico rimedio è uno strappo di innovazione che faccia piazza pulita di vecchi apparati e di metodi ancora più vecchi, renda il partito trasparente, contendibile e aperto a forze davvero nuove nella società, col rischio necessario del ricambio. Per fare questo, serve una classe dirigente coraggiosa e consapevole del pericolo mortale che corre, perché indulgenze e ritardi oggi - quando il Paese in crisi avrebbe bisogno di un pensiero e di una politica davvero alternativi alla destra - sono peggio che errori: sono colpe.
Nessun commento:
Posta un commento